19 Dicembre 2022 - Redazione - Solidarietà e mutualismo

Diritto alla residenza: Officine intervista Francesca De Rosa

Pochi giorni dopo l’iniziativa di confronto che abbiamo promosso lo scorso 12 dicembre sul tema delle povertà abitative a partire dal diritto alla residenza, con ospiti di Nonna Roma, di Asia Usb e del gruppo politico di Diritti in Comune, il Consiglio comunale di Ciampino ha respinto ad ampia maggioranza la mozione che questi ultimi avevano presentato sulla possibilità di derogare l’art.5 del decreto Renzi-Lupi, che toglie un’ampia gamma di diritti a chi occupa per necessità. 

Officine Civiche si era fatta promotrice anche di un appello, assieme ai movimenti per il diritto all’abitare che operano su questo territorio, affinché i Consiglieri si facessero carico di un problema che esiste in città per alcune famiglie in stato di emergenza abitativa e di vulnerabilità sociale. Appello che però è letteralmente caduto nel vuoto. Abbiamo dunque voluto intervistare Francesca De Rosa, che oltre ad essere una dei Consiglieri comunali proponenti, è anche un’attivista e una delle fondatrici della nostra associazione, per cercare di capire meglio la questione.     

  • Oggi il Consiglio comunale di Ciampino ha bocciato la vostra mozione sulla deroga all’art.5 del piano casa Renzi-Lupi. Quali sarebbero stati gli effetti positivi con questa mozione, anche in relazione a quello che è successo a Roma? In sostanza, credi sia stata un’occasione persa per la città? 

Non ho avuto l’opportunità di essere presente in Consiglio comunale a causa del Covid e purtroppo internet non mi ha minimamente supportato per un collegamento da remoto, per cui sono costretta a commentare la giornata appena trascorsa basandomi su quello che mi è stato raccontato dal capogruppo Porchetta e su quello che immaginavamo sarebbe stata la discussione. Prima di oggi, infatti, c’erano stati dei tentativi di confronto con gli altri membri del Consiglio comunale, come l’iniziativa organizzata da Officine Civiche stessa dimostra, e quindi eravamo consapevoli delle posizioni che poi sono state effettivamente espresse in Aula. 

Abbiamo perso l’occasione di impegnare la Sindaca ad adottare un provvedimento che restituisce dignità alle persone. Dal 2014, il c.d. Piano Casa Renzi-Lupi, nel tentativo maldestro e totalmente inefficace di punire le occupazioni, vieta a chi occupa senza titolo un immobile di chiedere la residenza e l’allacciamento ai pubblici servizi. La stessa normativa statale prevede una scappatoia a questa disposizione, attribuendo al sindaco la facoltà di derogarvi “in presenza di persone minorenni e meritevoli di tutela”.

In realtà la residenza non è una concessione o un privilegio, nonostante sia utilizzata come strumento di selezione delle persone “gradite” o “non gradite” nel territorio. Ma non vorrei aprire una parentesi troppo ampia sulla doppia funzione, statistica e amministrativa, che ricopre la residenza. Ci basta sapere che il codice civile è chiarissimo nel dire che è “il luogo dove la persona ha la dimora abituale”. E in effetti sarebbe normale che se io abitassi sotto il ponte X, io possa richiedere la residenza sotto il ponte X. Purtroppo non è più così, appunto. 

Forse nella vita di tutti i giorni molte e molti di noi non ci fanno caso, ma per avere il medico di base, per iscriverci al centro dell’impiego o aprire una partita iva, per accedere ai meccanismi di welfare locale, per fare un Isee, noi utilizziamo la residenza. In sostanza per accedere a tutta una serie di diritti (salute, lavoro, difesa, voto, istruzione) ognuno di noi deve avere la residenza. 

Per cui oggi il Consiglio Comunale di Ciampino ha deciso che una serie di persone, che non rispettano evidentemente i canoni morali dei miei colleghi consiglieri, perché vivono in una condizione di povertà che le ha costrette ad occupare un immobile – alla quale la politica non è stata in grado di dare risposte – non possono accedere a tutti i diritti che molto brevemente ho elencato sopra. 

Il riconoscimento della residenza non attribuisce un diritto di proprietà dell’immobile, non ferma gli sfratti (e noi lo sappiamo bene quando il 18 ottobre scorso stavamo al fianco di una famiglia sotto sfratto per morosità incolpevole), non attribuisce titoli di preferenza nelle graduatorie per accedere agli alloggi ERP. 

Si trattava di riconoscere un diritto che apre le porte ad altri diritti. I consiglieri che hanno votato contrario evidentemente, in virtù di una pretesa superiorità morale, hanno deciso che ci sono persone che non devono poter esercitare alcuni diritti fondamentali. 

  • La maggioranza in Consiglio ha detto che ci sono delle differenze sostanziali tra Ciampino e Roma che impedivano di paragonare la mozione ciampinese e quindi di votarla. Pensi che questo abbia senso?

Ciampino non è Roma, certo. Non so se ci sono stati particolari approfondimenti a questa dichiarazione che si limita a ripetere l’ovvio. Non viviamo la condizione di grandi occupazioni di immobili abbandonati, per esempio. Sappiamo che se la Sindaca, nonostante il voto contrario alla nostra mozione, volesse ancora dare applicazione al comma 1-quater dell’art. 5 del D.Lgs. 47/2014, questa avrebbe effetto su non più di una quindicina di situazioni. 

Mi rendo conto che la politica, da molti, viene interpretata esclusivamente come consenso e sicuramente a Ciampino ce ne sarebbe stato molto poco. Ma noi del gruppo di Diritti in Comune interpretiamo la politica come strumento di miglioramento della vita materiale delle persone attraverso una trasformazione radicale della società. Con questa mozione si dava un’indicazione politica chiara, non solo di merito, ma anche di metodo: governare, e farlo in maniera mediamente progressista, non vuol dire amministrare l’ordinario ed essere investiti passivamente da quello che capita nel presente. Governare un Comune vuol dire porsi nella condizione di incidere nelle situazioni, di immaginare soluzioni innovative, inventare strumenti per delineare un nuovo paradigma politico a partire dal territorio. 

Da questo punto di vista, Ciampino e Roma sono esattamente la stessa cosa. Probabilmente chi ha usato questa argomentazione, non ha ben chiaro il suo ruolo politico-istituzionale. Chiedevamo di fare una scelta politica: oltre ad aver fatto la stessa scelta della destra, la maggioranza ha deciso anche di governare come un banale amministratore di condominio. La prossima volta non facciamo le elezioni a Ciampino, ci facciamo dare le parcelle e confrontiamo i prezzi per scegliere il sindaco.

  • In Aula si è discusso molto del ruolo dei Servizi sociali. Perché e in che modo questo c’entra con la mozione? E che cosa si intende quando si parla di residenza fittizia?

Si è parlato molto di Servizi sociali perché si è cercato di opporre alla nostra mozione un dispositivo che è presente nel Regolamento dei Servizi sociali, cioè la residenza fittizia o virtuale. Ma tale presa di posizione dell’Amministrazione, quella di ritenere utilizzabile questo strumento in luogo della proposta che abbiamo fatto nella nostra mozione, non risponde ai bisogni reali delle persone.

La residenza fittizia è stata pensata per le persone senza fissa dimora. Per cui, banalmente, con la residenza fittizia non è possibile allacciare le utenze. Perché si presuppone, appunto, che la persona che ne fa richiesta, non abbia un tetto sopra la testa. Probabilmente, chi ha proposto questo strumento pensando di fare comunque una cosa ammirevole, ad esempio, non è mai stato a Via Patini, a Roma, nell’Ufficio Immigrazione della Questura e non sa della contestatissima prassi di non rinnovare i permessi di soggiorno quando la residenza è a “Via Modesta Valenti” (una via che non esiste e che indica la residenza fittizia per i romani). Oltre al tema del fortissimo stigma sociale associato alla residenza fittizia.

Ma c’è di più: il nostro Regolamento dei Servizi sociali istitutivo della residenza fittizia, è illegittimo. Nel corso dell’Amministrazione Ballico quel Regolamento fu modificato e Diritti in Comune presentò una serie di emendamenti – che non vennero ammessi e che quindi non furono discussi – proprio sull’argomento. Il Regolamento, infatti, subordina il riconoscimento di questo dispositivo all’inserimento dentro un percorso dei Servizi sociali. Anche qui, il concetto è sempre lo stesso: la residenza, virtuale o reale che sia, te la devi meritare. È un privilegio che ti verrà attribuito se sarai stato sufficientemente bravo. 

Per fortuna o purtroppo, delle volte, laddove non arriva la politica a rimediare a certe ingiustizie, ci arrivano i giudici e recentemente ci è arrivata la Corte di Appello di Firenze dichiarando illegittimo un regolamento simile al nostro e obbligando il Comune all’iscrizione anagrafica (quella vera, non quella virtuale) di una donna e la sua bambina anche senza essere prese in carico dai Servizi sociali.

Voglio essere chiara: non si tratta di disincentivare le persone a seguire un percorso con i Servizi sociali. Che invece andrebbero potenziati e dovrebbero essere messi in grado di operare con maggiore efficacia sul territorio. Ma dignità vuol dire rispettare le scelte individuali delle persone che, qualunque siano i motivi, non possono essere costrette a seguire un percorso socio-assistenziale e i diritti fondamentali non possono essere subordinati a un timbro messo in qualche ufficio.