20 Ottobre 2015 - Enrico Olivanti - Divulgazione

“Che ci fanno queste anime davanti alla chiesa?”

No, non si tratta dell’incipit di una celebre canzone di Fabrizio De Andrè, bensì della domanda che spontaneamente da un anno esatto a questa parte si pone un turista qualunque durante una passeggiata di Lunedì pomeriggio attraverso il centro storico della città di Dresda.

Proprio nell’imponente spazio aperto delimitato dall’Elba da un lato, dall’altro dalla cattolica Frauenkirche (chiesa di nostra signora, trad.), per culminare sul monumentale Semperoper (Teatro dell’Opera in cui, tra gli altri, Wagner e Strauss hanno visto debuttare alcune delle loro Opere) ha luogo ogni lunedì l’incontro fra i membri del movimento denominato PEGIDA, acronimo di “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente”.

Il fatto che un movimento con tale denominazione sia sorto nel Land tedesco nel quale nel 2004 si ebbe lo schock di un NPD (Partito nazional-democratico tedesco, un partito implicitamente neo-nazista) in grado di toccare percentuali simili a quelle di un partito come i Verdi ha subito messo in allarme gli osservatori di fronte a un possibile divampare anche in Germania di un incendio antipolitico ancor più preoccupante in un paese che porta nella coscienza in seno all’Europa il suo stesso peccato originale, il nazismo come quintessenza del nazionalismo.

Eppure visto da vicino il fenomeno fa intuire da subito quanto sia fuorviante e peggio ancora riduttiva un’analisi portata a vedere nel movimento l’embrione di qualche vecchio fantasma pronto a ripresentarsi, allo stesso tempo fornendo altrettanti e non meno problematici spunti per una  riflessione dalla quale qualsiasi coscienza politica individuale e collettiva che abbia a cuore il progresso della Democrazia in una prospettiva futura di Europa Unita e di pacifica cooperazione fra i popoli non può esimersi.

Innanzitutto la contestualizzazione geografico-anagrafica del fenomeno ci dice che tale movimento ha avuto battesimo in una regione e in fattispecie in una città, Dresda appunto, che si trova in un angolo d’Europa da sempre al centro di questioni legate a minoranze linguistiche e culturali che sono state protagoniste di secolari dispute territoriali che ne hanno sacrificato non solo l’autodeterminazione, bensì anche quello slancio necessario a sentirsi parte di un contesto sociale più ampio, in primis la “nazione”, per passare in un secondo momento a esempi di comunità più allargata (l’Unione Europea stessa).

In questo senso non va dimenticato l’atteggiamento di alcuni paesi della stessa regione (Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria) nell’ambito dell’emergenza migranti così come durante la crisi greca.

Dresda è più vicina a Praga che a Berlino, così come è più vicina a quella problematica Boemia da cui ebbero inizio le, in un certo modo indirettamente fondate, mire espansionistiche hitleriane, in grado di far leva appunto su quel bisogno di “sentirsi identificato” da parte di quel popolo imbrigliato in un impietoso destino di “eterna minoranza” (vedi alla voce  Sudeti e Sorbi).

La componente anagrafica del fenomeno ci fa osservare invece come la maggioranza dei membri di un tale movimento, che ancora si definisce “non violento”, abbia un’età che va dai 40 ai 60 anni.

Chi sono questi uomini che oggi, a un anno dalla fondazione di PEGIDA, hanno sfilato scortati dalla Polizia per una città invasa dai giovani della generazione Schroeder-Merkel che hanno gridato e ripetuto a squarciagola (in schiacciante maggioranza) “fuori il nazionalismo dal nostro paese”,” nessun uomo è illegale, benvenuti rifugiati” oppure “il razzismo uccide”?

Non sono i figli di questa Germania ultimo baluardo di un certo benessere diffuso in un’Europa sfiancata dalla crisi economico-finanziaria, non sono coloro ai quali è ancora permesso uno sguardo timidamente ottimista verso il futuro in un’era che fa della Germania il gigante economico e politico in uno scacchiere continentale pieno di partner ammalati.

Sono i testimoni oculari della Wende, della svolta che nel 1990 portò a quella che alcuni qui ad est ancora chiamano l’”annessione” (Anschluss in tedesco) della Repubblica Democratica Tedesca di Erich Honecker da parte della Repubblica Federale di Helmut Koll, un’annessione istituzionalmente avvalorata dal fatto che la Costituzione che nel 1949 la Repubblica di Bonn aveva promulgato come “provvisoria” in vista di una futura e al tempo auspicata riunificazione è quella che tuttora (ancora  sotto il sigillo di “provvisoria”) è in vigore nella Germania riunificata comprensiva dei nuovi Laender (Brandeburgo, Berlino, Meclemburgo-Pomerania, Sassonia, Turingia, Bassa Sassonia).

Questi ex cittadini di una Repubblica che, in piena coerenza con lo stile di vita di una Repubblica socialista appartenente alla sfera d’influenza sovietica, avevano visto barattata una serie di libertà proprie di uno Stato di diritto a modello liberale con la sicurezza economica e sociale hanno vissuto la “svolta” come un vero e proprio shock generazionale fatto di precarietà, disoccupazione, emarginazione sociale e perdita del senso di appartenenza a una comunità pronta a riconoscersi nello Stato unificato.

Questi uomini avevano dai 20 ai 40 anni, quindi l’età centrale nella vita lavorativa e sociale di un essere umano, quando entrò in vigore la “Treuhandanstalt”, ovvero la serie di misure di politica economica e industriale oggi ancora nell’occhio del ciclone delle polemiche che vi addebitano la “svendita” del patrimonio economico e di infrastrutture della Germania Est (economia che da sola era riuscita a colmare molte delle lacune in seno al sistema economico del blocco sovietico, trainandolo di fatto in molte sue  fasi critiche) e che la considerano come la madre di tutte le politiche di austerity in salsa tedesca inflitte dalle istituzioni europee agli stati in crisi al giorno d’oggi.

Due generazioni di tedeschi dell’Est si sono visti dapprima reclusi in un contesto chiuso all’esterno ma in grado di garantire una sopravvivenza e una sicurezza sociale diffusa (la DDR) per poi trovarsi catapultati in un corso economico ultraliberista che li ha visti arrancare non solo di fronte a partner economicamente più agili, bensì perfino di fronte a molte delle sfide della globalizzazione e di un mondo multipolare che richiede oggi più che mai uno slancio epocale in grado di rendere effettivo un orizzonte sovranazionale.

Da questo cortocircuito politico-economico-sociale nasce questa nuova variante nell’universo della cosiddetta “antipolitica” che veste i panni di PEGIDA, un movimento che, stando a questa analisi, si pone come sintesi di una serie di permanenti contraddizioni che si ergono a ostacolo verso il compimento di una Comunità e di una Società europea effettive e sugellate da un’Unità Politica in senso Federale.

Il senso di non sufficiente rappresentanza da parte delle minoranze culturali così come il senso di impotenza di fronte a misure di ordine economico atte a violare la sovranità dei popoli e degli Stati (come la Treuhandanstalt) sono tuttora all’ordine del giorno in seno alla questione Europea in tutte le sue sfaccettature.

Ma chi avrebbe potuto compiere da argine a un corso come quello sopra descritto? Chi può ancora mettere in campo le proprie forze per invertire la tendenza che sta vedendo espandersi a macchia d’olio il fenomeno “antipolitico” in Europa?

Il vero soggetto assente in tutto ciò è stato un vero partito riformista di Sinistra in grado di porsi in difesa, in ascolto e, perché no, alla guida di questi soggetti sociali “deboli” e quindi vulnerabili alle sirene del populismo.

Aver disatteso a quello che era uno dei principi cardine di una certa tradizione socialista (ribadito da Gramsci fino all’esalazione dell’ultimo respiro), ovvero quello secondo il quale l’”essere forza di cambiamento in favore dei soggetti più deboli richiede prima di tutto il porsi in ascolto di questi, sposarne le cause più intime educandoli alle prospettiva di un  progresso sociale collettivo” è stato il peccato originale dei Partiti Socialisti e Socialdemocratici europei rei di aver accentuato questo senso di emarginazione sociale almeno dal finire degli anni Settanta.

La percentuale irrisoria della SPD in Sassonia e a Dresda, 12%, ne è la conferma in un contesto nel quale il malcontento nei confronti di un Partito riformista socialdemocratico non riesce a rendersi capitale elettorale per un partito, Die Linke (la Sinistra), che ancora porta su di sé, malgrado i notevolissimi passi verso una forma di partito della Sinistra europea, la nomina di “partito erede della SED” (Socialisti uniti di Germania, pertito unico di governo nella ex-DDR).

Per questa serie di elementi ritengo più che mai utile, reduce da questa grande manifestazione che ha visto il palesarsi di una così immane e problematica contraddizione, studiare a fondo il fenomeno “PEGIDA”,  affinchè le questioni capitali per la maturazione di un senso della Comunità e della Società europea in vista di una sua Unità politica nel segno del federalismo possano essere fatte proprie da una Sinistra europea in grado di procedere incontro al “sol dell’avvenire” senza perdere di vista certi suoi antichi e sempre validi capisaldi ideali, utili oggi come non mai per ridimensionare dalla Germania, alla Francia, all’Italia e alla Grecia la forza dei populismi e per divenire forza guida nel progresso della nostra civiltà.