3 Giugno 2017 - - Divulgazione

Barcellona gitana: a caccia di buone pratiche

La Spagna è il paese dell’Europa occidentale che conta il maggior numero di persone rom sul proprio territorio.
Secondo le stime ufficiali, infatti, i gitani (per comodità ci si riferirà alla comunità di rom spagnola come gitani) presenti sull’intero territorio sono circa 660.000 (1.5% rispetto alla popolazione totale), distribuiti principalmente tra le Comunità Autonome dell’Andalusia, che ne conta poco meno della metà, e della Catalunya che invece ne conta circa 80.000.

Il fatto interessante di questo dato è che in Italia, invece, dove il livello di intolleranza sta purtroppo raggiungendo picchi preoccupanti, si contano complessivamente circa 140.000 persone su tutto il territorio nazionale (0.2% rispetto alla popolazione totale) e di questi solo 40.000 risiedono nei campi attrezzati, tollerati ed informali.

Questa differenza numerica così sostanziosa è il risultato delle diverse politiche adottate da questi due paesi nel corso della loro storia. Infatti, mentre nel territorio italiano la  presenza rom, cioè “zingara”, viene contrastata aspramente con una forte repressione e con le espulsioni; nella Spagna dell’assolutismo veniva messo in atto un vero e proprio etnocidio per mezzo del divieto imposto ai gitani di vivere secondo i loro usi e costumi, tutto ciò con l’intento di  trasformarli in “nuovi castigliani”.

Al momento attuale le politiche locali di inclusione sociale delle comunità rom e gitane sono di fatto molto diverse tra la Catalunya e l’Italia; infatti la Comunità Europea, in veste dell’organo dell’ECRI (Commissione Europea contro il Razzismo e la Discriminazione) nel suo quinto rapporto, risalente al giugno del 2016, si è dichiarata preoccupata circa il “trattamento differenziale” che riguarda le politiche rivolte verso le comunità rom che vivono in Italia, mentre invece in Catalunya il “Plan Integral del Pueblo Gitano en Cataluña” e il programma di  “Fomento de la integración de la población romaní procedente de los países de Europa oriental” sono stati considerati dal FRA (Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali) come modelli esemplari di buone pratiche.

Ciononostante, però, le condizioni socio-economiche delle comunità gitane che vivono a Barcellona sono ancora molto svantaggiate paragonate a quelle del resto della società catalana.
Tra le tante associazioni che si occupano di inclusione sociale di queste comunità, vale la pena conoscere il lavoro che da quasi venti anni svolge con passione e impegno la “Fundació Privada Pere Closa” che ha l’obiettivo di superare le problematiche di carattere socio-economico che il più delle volte affliggono la comunità gitana. Le radici di queste problematiche si possono individuare nel pregiudizio, nella discontinuità nello studio e alle difficoltà nell’inserimento professionale da parte dei gitani.

Il lavoro finalizzato al raggiungimento di questo ambizioso e giusto obiettivo deve necessariamente passare attraverso una immagine positiva del popolo gitano e quindi la promozione attraverso la conoscenza della loro cultura, ma soprattutto attraverso la lotta contro quello che viene definito “antigitanismo” che sarebbe: “un fenomeno sociale complesso che si manifesta attraverso la violenza, il discorso di odio, lo sfruttamento e la discriminazione, nella sua forma più visibile. I discorsi e le rappresentazioni della politica, la società civile, la segregazione, la disumanizzazione, la stigmatizzazione, così come l’aggressione sociale e l’esclusione socio economica sono altre forme di propagazione dell’antigitanismo” (Valeriu Nicolae). 

Gli interventi della fondazione “Pere Closa” ruotano intorno a precise linee di azione che sono i pilastri dell’inclusione sociale e che sono strettamente connessi l’uno con l’altro e che possono essere riassunte in: 

⦁ Il supporto alla formazione, 

⦁ la promozione educativa e il lavoro con le famiglie degli alunni gitani, 

⦁ la diffusione nelle scuole della cultura gitana, 

⦁ la condivisione di buone pratiche con altri paesi europei,

⦁ la promozione della partecipazione sociale dei ragazzi gitani.

Sicuramente uno dei punti di forza di tutte queste attività è la progettualità. Infatti il bambino che oggi è inserito nel sistema scolastico sarà l’adulto che domani cercherà di inserirsi nel mondo del lavoro. Altro punto da non sottovalutare è il fatto che tutti questi interventi debbano ad agire non soltanto sul singolo individuo, ma anche su ogni protagonista del contesto sociale a partire dalla famiglia dell’alunno che è la prima agenzia educativa con la quale lo stesso viene a contatto.

Tutti questi punti di forza contribuiscono alla costruzione di quell’autostima necessaria al sano sviluppo della persona ma anche al successo scolastico e alla conseguente normalizzazione educativa, base di una vera società democratica e civile, grazie alla quale il singolo individuo e, di conseguenza,  la comunità intera possono raggiungere l’uguaglianza di opportunità e di diritti.

L’uguaglianza, però, deve necessariamente partire da un processo di consapevolezza dei propri diritti e delle proprie potenzialità, concetto non così scontato per chi proviene da una comunità che, da sempre e ovunque, è fortemente marginalizzata e stereotipata. A tale scopo è quindi necessario un lavoro educativo anche sulla cosiddetta società dominante. Proprio per questa ragione vengono organizzate, infatti, dalla Fondazione attività di conoscenza della cultura e della storia del popolo gitano, non solo all’interno di molte scuole primarie, ma anche all’interno di Istituzioni come i Corpi di Polizia che spesso si trovano a contatto con la parte più povera e marginale delle comunità gitane. 

Quindi, se consideriamo questi progetti, viene naturale pensare a quanto di questa esperienza ventennale così appassionata potrebbe essere importata sul nostro territorio. Viene da pensare, infatti, come una progettualità di tale valenza sociale possa essere efficace in un contesto come il nostro nel quale sembra non ci sia l’interesse di trovare quella spinta necessaria per superare i pregiudizi e nel quale vengono quotidianamente alimentate, spesso con fini economici e propagandistici, le disuguaglianze.