6 Aprile 2019 - Giulia Carletti - Divulgazione

Fearless Cities: la Sfida delle Città sui Beni Comuni

Se l’universale dipende dalla logica e l’uniforme appartiene all’ambito dell’economia, il comune, invece, ha una dimensione politica: il comune è ciò che si condivide. […] Ed è proprio questo il nodo cruciale dei nostri tempi, qualunque sia la scala del comune che viene presa in considerazione – della Città, della nazione o dell’umanità: soltanto se promuoviamo un comune che non sia una riduzione all’uniforme, il comune di questa comunità sarà attivo, creando effettive opportunità di condivisione.

François Jullien

Il Comune di Napoli è stata la prima città in Italia ad aver istituito un Assessorato ai Beni Comuni; nel 2011 ha modificato lo Statuto Comunale introducendo, tra le finalità, gli obiettivi e i valori fondamentali della Città di Napoli, la categoria giuridica del bene comune, per poi fare propria nel 2013 la “Carta dello Spazio Pubblico”. Si è svolto proprio a Napoli l’incontro delle Fearless Cities Italia (Città senza paura), il network internazionale che raccoglie esperienze municipaliste di tutto il mondo, il cui primo incontro è avvenuto a Barcellona nel 2017. Dopo aver aderito al suo Manifesto, nella giornata del 16 marzo Officine Civiche ha preso parte ai vari workshop presso l’Asilo Filangeri, spazio considerato un modello di riferimento per gli usi civici. Insieme a noi, i firmatari del Manifesto sono: Massa Critica (Napoli), il Comune di Napoli, Brindisi Bene Comune, Il sud che sogna (Cinquefrondi), Buongiorno Livorno, TuttaMiaLaCittà (Taranto).

Dalle esperienze raccontate nell’incontro della mattina (nel laboratorio Modelli alternativi di sviluppo urbano) emerge in Italia un quadro comune di scollamento completo tra amministrazione comunale ed esigenze degli abitanti, ma anche di ciò che lo mette in crisi, e cioè di tutti quegli esperimenti e strumenti associativi, amministrativi e politici che hanno proposto uno sguardo creativo e inclusivo volto a superare la realtà della turistificazione, dei processi di espulsione e della gentrificazione. Da Livorno, Valentina Barale (Buongiorno Livorno) racconta una realtà di svuotamento del centro, di chiusura delle attività commerciali e di insicurezza idrogeologica del territorio dovuta alla cementificazione. Dall’altra parte, da Firenze sottolineano come il Bene Comune sia anche “creare occasioni di costruzione di pensiero tra i cittadini” e come sia fondamentale avvicinarsi quanto più possibile al linguaggio e alla vita quotidiana dei cittadini per potenziare i processi di partecipazione politica e sociale.

Nel pomeriggio ci spostiamo nella sala Teatro per il workshop sui Beni Comuni. Tra chi ammonisce di stare attenti alla “valorizzazione” dei beni confiscati alle mafie, in quanto obbiettivo finale deve essere sempre quello di ottenere una funzione sociale, e chi parla di diritto innato alle risorse e al patrimonio naturali, Carmine Piscopo, Assessore ai Beni Comuni e all’Urbanistica di Napoli, sostiene che non basta parlare di “comune” per riferirsi al pubblico se quest’ultimo poi non diventa collettivo e diffuso. Nell’incontro, trova spazio anche la dialettica tra due visioni diverse e, in qualche modo, complementari sulla concezione di bene comune. Un rappresentante di Grande Come una Città – innovativa realtà di organizzazione culturale nel Terzo Municipio di Roma – ci prospetta la visione secondo la quale “non esistono beni naturali: di naturale c’è poco”, ma di come ci sia una cosa di cui non ci si possa appropriare mai: la partecipazione politica. Per questo si cita l’assessorato alla cultura nel III Municipio di Roma, messo “in comune” connaturandosi come qualcosa di inappropriabile: “la collettività che crea non può dipendere da un diritto di appropriazione”, perché “il pubblico non può essere appropriato da nessuno, e creerà tutto un altro tipo di economia”. Qui l’assessore ai Beni comuni di Napoli sottolinea il passaggio tra pubblico e collettivo: “se la collettività affida a un ente o a un Comune una proprietà, quella ha un proprietario che lo deve mettere a reddito. Ma se quel bene è di tutti io so che una comunità ha un diritto e lei ne farà un bene per finalità che guardano ai diritti: non è un sistema di assegnazione ma un bene percepito come un diritto”. In altre parole, è la collettività di riferimento che dà valore al bene. Direttamente da “Massa Critica”, Enrico Tomaselli ci dice che “il diritto è qualcosa che emerge dalla cultura” e che il bene comune in realtà non sia una forma altra di proprietà ma esula dalla concezione stessa di proprietà, in quanto inalienabile e ad uso della comunità: “chi ne fa ciò che vuole è consapevole di essere sempre contingentato”.

A Ciampino, Officine Civiche ha lanciato una proposta di delibera d’iniziativa popolare per l’adozione di un Regolamento sulle forme di collaborazione tra Cittadini e Amministrazione per la cura e la rigenerazione dei Beni Comuni Urbani. I beni comuni urbani presenti nel territorio ciampinese, tra abbandono, incuria e privatizzazioni, sono stati al centro di lunghe battaglie, portate avanti da associazioni e comitati cittadini che hanno proposto una gestione alternativa del patrimonio culturale e urbano: una gestione partecipata e di collaborazione che cerca di sottrarre tali beni dai monopoli privati da un lato e da una visione miope e distruttiva dall’altra. Per questo motivo pensiamo sia fondamentale informarsi e conoscere quali sono quegli strumenti amministrativi e civici in grado di rendere concreta e operativa una visione sui beni comuni che produca inclusione, senso critico ma anche studio e conoscenza. Come scrive Settis, “Per parlare oggi di beni comuni si deve ripartire dal basso, dalla ricchezza e varietà delle esperienze locali di autogestione: quelle volute da noi, i cittadini”.