21 Febbraio 2016 - Enrico Olivanti - Divulgazione

Il Cielo sopra Berlino

Un foyer estremamente affollato fatto di persone di ogni generazione, età e paese europeo e non solo, compone quella calca impressionante che lo scorso 9 Febbraio alla Volksbuehne di Berlino quasi mi ha impedito di assistere dal vivo alla nascita di DieM 25, il nuovo movimento per la “democratizzazione” dell’Europa voluto dall’ex Ministro delle Finanze greco, l’economista Yanis Varoufakis.
E’ proprio lo storico Teatro situato nella Rosa Luxemburg Platz a due passi dalla sede nazionale della “Die Linke” (la Sinistra tedesca) fra i due quartieri berlinesi di Prenzlauer Berg e Mitte, in quello che fu a sua volta teatro dei moti per i diritti dei lavoratori degli inizi degli anni venti, che rappresentanti dei principali movimenti socialisti, socialdemocratici, verdi e liberal-democratici europei danno vita a questa nuova piattaforma.
Agile, spigliato e perfettamente a suo agio nella veste di speaker e padrino della kermesse, già nelle primissime battute Varoufakis smentisce e allontana la paura, ragionevole in qualsiasi cittadino progressista, che si stia assistendo alla nascita dell’ennesimo raggruppamento di riottosi dell’estrema sinistra guidati da una visione orgogliosamente minoritaria e settaria del proprio agire politico.

Ben diverso appare l’intento di DieM 25, che da Statuto si propone di riunire sotto l’unica egida della sempre più progressiva “democratizzazione” dei processi decisionali e politici dell’Europa ben più di una famiglia e tradizione politica europea: si va dalla Sinistra Europea alle socialdemocrazie, passando per i movimenti Verdi ed ecologisti europei fino ad arrivare ai gruppi Liberal-democratici. Nessun cenno alle forze cristiano-sociali in questa sorta di “Nuovo Compromesso Storico”, complice forse l’ombra lunga del pensiero marxista di cui sono ancora fortemente impregnate le mura, sovieticamente austere, di questo suggestivo teatro della ex Berlino Est.
In cosa consisterebbe questo processo di democratizzazione Varoufakis lo espone chiaramente già dall’inizio dell’intervento. La scadenza è il 2025, anno decisivo entro il quale si dovrà capire se nel mondo ultraglobalizzato del XXI secolo ci sarà spazio per una grande Europa unita e democratica, o se l’Unione e le sue Istituzioni dovranno restare confinate a quello status di “cartello” quale l’economista greco definisce tutto ciò che attraverso la CECA e la CEE ci ha condotti agli impasse politici dei giorni nostri.

Il 2025 è la data di una presunta Costituzione democratica europea figlia dell’impulso che un movimento di questo genere si sente di dare partendo da questa kermesse, ponendo da subito degli indirizzi molto chiari e significativi.
Innanzitutto un’Europa che, lasciati alle spalle gli Stati Nazionali, si fa comunque garante delle esigenze delle comunità e delle realtà territoriali, delle minoranze spesso sofferenti nei contesti nazionali.
Un’Europa che è macrocosmo e microcosmo allo stesso tempo, percorrendo quello che forse è l’unico compromesso possibile per conciliare un assetto democratico nella partecipazione civile e un mondo ormai senza confini e senza barriere di fatto fra i popoli.
Un’Europa figlia non solo di “padri costituenti”, bensì che ha tante “madri”, a rimarcare dalla prima ora l’importanza e la centralità della donna in questa nuova Europa, centralità ben testimoniata dagli intensissimi interventi di Katja Kipping, presidentessa tedesca della Linke, come di Nessa Childers, parlamentare della Sinistra irlandese, o di Cecile Leffot, Verde francese, e Ada Colau, sindaco di Barcellona, per arrivare alla Verde britannica Caroline Lucas, particolarmente severa nei confronti di un possibile Brexit.

Si avvicendano poi gli uomini di Podemos, portatori di quella visione che punta a conciliare le specificità territoriali delle minoranze europee con i bisogni dell’Unione, esperienza cui il movimento deve molto del suo successo nella Spagna ancora in attesa della formazione di un governo.
Centrale è il nodo del TTIP, il famigerato trattato di libero commercio transatlantico che viene descritto come il vero grande possibile colpo mortale a ogni prospettiva di Democrazia e Pace in Europa durante un sentito e accorato intervento via Skype di Julian Assange, applaudissimo dalla folla del teatro, cui seguiranno gli interventi del filosofo croato Srecko Horvat, del parlamentare danese Rasmus Nordquist, del noto filosofo serbo Slavoj Zizek e di Anna Stiede, una delle maggiori attiviste di Blockupy.
Quale bilancio al termine di una così intensa presentazione di quello che già all’atto di nascita si autoproclama come un punto centrale nella Storia recente europea?
Se da un lato dal punto di vista programmatico le migliori prospettive proprie di chi ha a cuore lo sviluppo di un’Europa federale democratica rispondente agli ideali che furono in prima battuta di Altiero Spinelli non sono state disattese, finora a parole, l’elemento sul quale ci si aspetta nei fatti maggiore chiarezza nel prossimo futuro riguarda le modalità attraverso le quali tale movimento intende dar vita a un vero radicamento nei territori più diversi del continente.
Ciò che lascia ben sperare sono le parole dello stesso Varoufakis, il quale ci tiene a sottolineare la totale estraneità di DieM 2025 a qualsiasi profilo da “Think-Tank” o da “Sinistra dei professori” all’italiana e a rimarcare invece la vocazione “democratica e popolare” di un movimento che intende farsi promotore di una grande Costituente europea.

Osserveremo con estrema attenzione ed entusiasmo lo sviluppo di questa grande e storica iniziativa politica non senza dover riscontrare a margine un paio di dovute osservazioni dal nostro punto di vista italiano.
La prima riguarda la dolorosa assenza di una voce italiana su quel palco che ha visto avvicendarsi la crema de la creme delle tradizioni politiche progressiste europee.
La tradizione della Sinistra italiana europeista di Gramsci, Spinelli e Berlinguer non ha più né figli né figliastri da dare a quest’Europa attraverso i partiti che ne discendono, dal Partito Democratico alle sempre variabili nuove o vecchie formazioni della Sinistra radicale italiana.
La seconda, quasi a rincuorare il nostro povero orgoglio nazionale, riguarda quei concetti e quei contenuti ascoltati nella sala della Volksbuehne così pieni dell’europeismo di Altiero Spinelli e della tradizione euro-federalista italiana che vide fra gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 nel Partito Comunista Italiano delle politiche del “Compromesso Storico”, dell’”Eurocomunismo” e dell’”Alternativa Democratica” l’interlocutore privilegiato nel campo italiano ed europeo (nella sala riecheggia più di qualche concetto espresso in quel fatale comizio in Piazza della Frutta a Padova il 7 Giugno del 1984 dall’allora Segretario Generale del PCI Enrico Berlinguer).
Dov’è finita questa tradizione? Dove risiede il potenziale capitale umano che l’Italia può ancora esprimere nell’ambito di questa nuova ed entusiasmante avventura?
Tale capitale umano esiste nei numeri e nei volti, purtroppo non ancora nelle espressioni politiche. Tuttavia non tarda ad esprimersi in questo mondo fatto di nuove e laceranti violenze.

E’ l’Italia delle Valeria Solesin e dei Giulio Regeni, che anche forti dell’esempio dei sopracitati hanno messo a disposizione i migliori anni della loro “Meglio Gioventù” per le cause dei più deboli in Europa e nel Mediterraneo, pagando con la vita l’adesione a tali missioni ed ideali.
E’ l’Italia che ieri, non troppo lontano dalla Volksbuehne in cui Varoufakis ha lanciato la propria proposta politica, ha trionfato alla Berlinale con “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, portando la tragedia dei migranti al centro dell’esposizione della Settima Arte in Europa, dimostrando come il Mediterraneo più che una Frontiera oggi rappresenti il problema centrale negli sviluppi dell’Europa dei prossimi decenni.

Ebbene la Berlino dell’Austerity e delle sue enormi contraddizioni interne ha vissuto tutto questo in poco meno di due settimane.
Se il cielo d’Europa e le sue stelle dovessero necessitare di una nuova occasione per “rispecchiarsi” e sentirsi finalmente bandiera di un vento nuovo, democratico e popolare, se esiste un luogo d’Europa nel quale è possibile tale riconoscimento questo luogo oggi è il Mar Mediterraneo.
Il cielo sopra Berlino, almeno quello, non può più far finta di non saperlo.