10 Settembre 2017 - Redazione - Divulgazione

Le parole che violentano due volte

“E’ importante che gli studenti americani imparino, anche con l’aiuto delle università e delle nostre istituzioni, che Firenze non è la città dello sballo”. Con queste parole, per certi versi raccapriccianti, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha commentato la notizia delle due studentesse americane che hanno denunciato due Carabinieri in servizio per violenze sessuali. Un uso delle parole a dir poco superficiale, ma soprattutto un effetto evidente della sotto-cultura insita nel linguaggio patriarcale normalmente in uso, purtroppo, anche dalla politica e dai media. Firenze non è la città dello sballo, ci avverte Nardella, i giovani americani questo devono impararlo, fosse anche a spese loro. Niente minigonne, dunque, niente alcool e stravizi, altrimenti nella città pudica e anti-sballo di Nardella si può anche rischiare di essere violentate da uomini in divisa. Ovviamente non è stato questo – vogliamo sperare – l’intento delle parole di Nardella. Lui sarà pronto a smentire e giustificarsi e prodigarsi in mille parole sull’orrore delle violenze sessuali senza se e senza ma… Tuttavia, è proprio questa la narrazione che si cela dietro le parole del sindaco: La colpa è della vittima, che ha sbagliato a pretendere divertimento in una città “seria” come la sua. La frivolezza si paga, il problema è lo “sballo”, non gli stupratori. Questo è ciò che sottintende sempre la cultura dello stupro.

Ma non è certo l’unico caso. Innanzitutto, il vomito on-line di migliaia di utenti ideologicamente predisposti in una certa direzione, che però creano sui social vere e proprie ondate, sapientemente guidate da influencer ad-hoc. Per cui, se gli immigrati stuprano, allora le vittime non esistono, esiste solo una massa di colpevoli la cui colpa risiede nel colore della pelle o nel passaporto. Nonostante l’efferatezza del caso, a nessuno importa davvero delle vittime degli agghiaccianti stupri di Rimini, peraltro straniere anch’esse, ma tutto si sposta sul problema immigrazione, e lì muore. E’ il razzismo dogmatico che vuole sostituirsi al diritto penale, un orrore che credevamo sconfitto dalla storia e invece domina i trend su Facebook. Se gli stupratori sono uomini italiani, oltretutto in divisa, ancora una volta le vittime non esistono ma sono esse stesse le colpevoli principali. Colpevoli di aver detto bugie, colpevoli di aver bevuto e fumato, colpevoli di avere un’assicurazione universitaria, perfino, secondo alcuni, colpevoli di essere americane (tutti sanno che non si deve restare soli con le donne americane, altrimenti alla prima mano morta ti denunciano! – commento realmente letto su Facebook). Ma in ognuno di questi casi la colpa primaria è quella di essere donna. La mano morta di cui sopra, d’altra parte, è una delle tante “bravate” che non si possono denunciare! Magari i Carabinieri hanno solo seguito l’impulso del maschio latino, hanno fatto leva sul fascino della divisa, che sarà mai! Poi vi siete fidate dei poliziotti, ma allora non li leggete i giornali! E in discoteca fino a quell’ora che ci stavate a fare? E comunque questa storia non convince… Sono tutti commenti realmente estratti dai social media, parole usate da migliaia di persone reali che questo sostengono, scrivono, pensano. 

Ma il problema si fa più serio quando queste parole vengono sottese nei maggiori mass-media italiani: “Potrebbe esserci il fatto che le due studentesse, a quanto pare, sono entrambe assicurate contro lo stupro”, scrive a chiare lettere Repubblica. Una notizia bufala, si è poi scoperto, perché le due vittime hanno solo una generica assicurazione universitaria contro rapine e lesioni, della quale pare non fossero neppure al corrente. Ma il punto non è solo che una notizia falsa è circolata per ore sui maggiori quotidiani italiani, il problema è che quasi ovunque è stata usata questa insinuazione, attraverso un condizionale che non è più legato alla presunzione di innocenza ma alla presunzione di una nuova colpa a carico delle due studentesse (l’assicurazione fa di loro delle bugiarde senza scrupoli, ancora una volta perché donne e ancora una volta nel cliché dell’americano assetato di denaro), che diventa presente indicativo a rimarcare un fatto, falso, (sono entrambe assicurate) per trasformare le presunte vittime di uno stupro in sicure carnefici della credibilità dell’Arma. Credibilità rimarcata dal Corriere della Sera, che rilancia definendo strampalata la denuncia e scrive addirittura “vittime” tra virgolette. Ora, le virgolette non vengono solitamente usate per indicare incertezza o imparzialità, ma vengono usate spesso nell’italiano scritto corrente per indicare significati figurati, scetticismo, ironia. Se scrivo che le due studentesse sono “vittime”, tra virgolette, non sto presumendo l’innocenza fino a prova contraria degli accusati, ma sto certificando il mio personale scetticismo nei confronti di chi accusa. In poche parole sto facendo malissimo il mio mestiere di giornalista e sto alimentando una sub-cultura patriarcale, futilmente nazionalista o forse solo provinciale: I panni sporchi si lavano in casa, cosa vogliono queste due “vittime”? 

Si potrebbero fare centinaia di esempi, tutti riguardanti l’utilizzo volutamente distorto della lingua per proteggere il pensiero dominante che riemerge ogni volta che si parla di stupri. La colpa, se non può essere di qualche diverso, colpevole prima in quanto diverso e solo poi in quanto stupratore, allora deve ricadere sulla donna. Il Messaggero ci informa, tronfio, che il 90% delle denunce per violenze sessuali da parte delle turiste americane sono false, cifre che fanno riflettere, dicono… Cifre che, come rivela Luca Sofri, sono l’unica cosa falsa. Un’altra bufala, trattata con parole inaccettabili e diffusa come vera su testate nazionali un tempo rispettabili. E nel frattempo, mentre politica e media fanno a gara di fango lessicale e nazional-maschilismo, i problemi veri rimangono sullo sfondo.

Resta infatti tale e quale il problema di un paese immerso in una cultura paternalista anche nei membri delle sue forze dell’ordine, che, come denunciano associazioni e centri anti-violenza, sono per lo più impreparati a gestire casi di violenza sulle donne. Sono ancora troppi i casi di vittime rimandate in casa del proprio molestatore, dopo una denuncia, da parte di forze di polizia troppo spesso predisposte a sottovalutare il problema. Ma nessun cambiamento sarà mai possibile se questi linguaggi e questi pensieri restano dominanti nei nostri canali di comunicazione primari, se la politica non si fa carico di un mutamento di paradigma di pensiero nei confronti delle tematiche di genere. Se la difesa dell’italianità resta un altare cieco sul quale sacrificare anche un paio di donne violentate.