20 Aprile 2017 - Guglielmo Abbondati - Divulgazione

Quando Gezi Park accese la rivolta

Con la vittoria del discusso referendum costituzionale della Domenica di Pasqua, la Turchia sta rapidamente scivolando verso una dittatura istituzionalizzata, voluta dal capo dello stato Recep Tayyip Erdoğan. Ma la deriva autoritaria non è cominciata domenica, il giorno del referendum. La Turchia non è più un paese democratico da tempo. A cominciare dalle giornate della rivolta di Gezi Park, quattro anni fa. Proprio nel periodo in cui il Consiglio comunale di Ciampino approvava il Patto di Gemellaggio con la città di Pendik, comune metropolitano della città di Istanbul. Forse molti non seppero leggere allora quei fatti in tutta la loro drammatica portata, fatti che celavano ben altro di una battaglia per qualche “fanatico” ecologista. Ho ritrovato nel mio notebook questo articolo, scritto di getto in quelle ore e sono lieto di metterlo a disposizione della riflessione di questo nostro blog, perché ancora tremendamente attuale.

La rivolta in Turchia non si placa. Oltre settanta le città coinvolte. Si contano già 5 morti, migliaia di feriti e altrettanto quelli arrestati dalla polizia. Il governo turco ha minacciato l’impiego delle forze armate per reprimere le proteste che da tre settimane scuotono il Paese. Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato di non riconoscere le decisioni del Parlamento Ue  che giovedì scorso aveva condannato l’uso eccessivo della forza da parte della polizia turca per domare le proteste anti-governative. L’Europarlamento con una risoluzione aveva messo in guardia il governo turco dall’adottare misure dure contro i manifestanti e lo aveva esortato a tenere un atteggiamento conciliante per «…evitare un aggravamento della situazione». Proprio così, un atteggiamento conciliante. La versione ufficiale di Bruxelles tuttavia è che gli avvenimenti in corso ad Istanbul non influenzano direttamente sulle prospettive di adesione del paese all’Unione Europea. Una questione che dura appena da 25 anni.

Bisogna essere onesti. Fino ad oggi le analisi e le letture politiche sulla rivolta che infiamma il paese nel cuore dell’Anatolia sono state le più disparate. Molti dei media parlano di una rivolta contro Erdogan e la deriva islamica del suo regime tirannico. Il ministro degli esteri Emma Bonino riferendo in Parlamento sugli sviluppi della situazione turca ha detto: «Piazza Taksim non è piazza Tahrir piuttosto la protesta è più simile a quelle di Occupy Wall Street». Anche la Sinistra, da sempre pronta a correre davanti a tutte le ambasciate del mondo, questa volta sembra spiazzata di fronte alla nascita di questa rivolta. Già, il punto è proprio questo. Dove nasce questa rivolta. Il conflitto in atto tra una parte della società civile ed il governo di Erdogan è nato semplicemente da un pugno di amici decisi a salvare un piccolo parco. Pochi avrebbero potuto immaginare che un gruppo di alberi, dispersi in un angolo di una trafficatissima piazza della metropoli turca, potessero innescare una rivolta che sta allargandosi all’intero paese.

Ricordate? Una volta si diceva: “…con tutti i problemi del mondo vi andate ad occupare degli alberi!!!”.  Ha detto bene Guido Viale. È folgorante l’evidenza di uno scontro di civiltà: non tra Occidente ed Oriente; non tra Cristianesimo e Islam; neanche (solo) tra capitale e lavoro o tra ricchi e poveri. Bensì tra chi ingrassa e accumula potere distruggendo l’ambiente, la sua vivibilità, le relazioni sociali e chi invece ha capito che la vera ricchezza sta proprio in un rapporto non aggressivo con il proprio habitat.

Quei giovani Turchi sono scesi in strada al grido “No a una città come Dubai!!”. Dubai invidia dei modernizzatori a furor d’asfalto e cemento. Bisogna dire anche che le forze progressiste in Europa, al di là delle dichiarazioni di sdegno, non sembrano reagire più di tanto alla mattanza in corso per le strade di Istanbul. Purtroppo temo che la Sinistra, quella famiglia socialista europea alla quale Sinistra Ecologia Libertà vuole aderire con tanta urgenza, oggi non rappresenti, da solo, quell’unico soggetto in grado di poter consegnare un futuro diverso alle prossime generazioni di questo continente.
Dall’ubriacatura liberista si esce con un diverso paradigma, che sappia trovare nell’opzione ecologista la strada per una maggiore equità tra classi, culture, generi e generazioni diverse. Gezi Park non è questione di quattro ultra ambientalisti. Gezi Park è la rivolta di un popolo. E può insegnare a guardare il futuro, oltre questa brutta crisi di identità che ancora investe la Sinistra.