30 Gennaio 2020 - Nicoletta Loreti - Divulgazione

Quello che non è Foresta è prigione politica

Quello che mi ha catturato del Brasile è la Foresta. Quest’essenza selvaggia e spavalda, che cerca di farsi largo e imporsi sull’uomo. La Foresta sembra prendere parte ad una lotta continua; la sua è una nitida voce di ribellione, di limitazione al tentativo di prevaricazione imposto dal cemento.

Quello che colpisce a prima vista di San Paolo, a livello estetico, non è certo questo. La Foresta lì non c’è, è inglobata in un sentimento di prepotenza visiva manifestata da uno scenario di grattacieli, per lo più decadenti e apparentemente abbandonati. La quotidianità delle persone potrebbe essere simile a qualsiasi altra metropoli mondiale, ma non è così. Torno a percepire sotto una luce diversa un’essenza spavalda e rivoluzionaria, una richiesta di r-esistere nonostante tutto. Stavolta però questa esigenza proviene dai cittadini dei movimenti a sostegno dei diritti alla casa, dai centri culturali, dalle persone costrette a vivere in strada, destinate ad essere gli invisibili di una grande metropoli.

E’ così che il giorno in cui ho compreso che esisteva una risposta eterogenea, collettiva e creativa, la resistenza dal basso, mi sono ritrovata al cancello dell’Ocupação 9 de Julho, in pieno centro della capitale Paulista.

Citofoniamo e un portiere, che presiede l’ingresso h24, apre e ci fa firmare un registro.

A me, Tato e Camila, sembra di entrare in una realtà a sé stante. L’impatto è forte. Avevamo appena chiuso alle nostre spalle la città e si apriva dirompente la “Foresta”; un luogo di resistenza e di esistenza, di orgoglio abitativo e coraggio. Un cortile, dove bambini e adolescenti giocano a pallone e sfrecciano in bicicletta. Orto, graffiti, istallazioni artistiche ed un imponente agglomerato di edifici sullo sfondo. Il solito pezzo di cemento prepotente ma che stavolta urla un senso di lotta, comunità e integrazione: “Ocupar! Resistir! Construir! Morar!” 

Le pareti del corridoio principale erano simmetricamente popolate da illustrazioni mono stilistiche. Sembravano le stazioni della Via Crucis. Ognuna di esse raffigurava persone, che con un cartello in mano, chiedevano di poter lottare per i propri diritti. Proseguendo siamo entrati nel museo, carne viva dell’occupazione. Un labirinto di memorie, istallazioni simboliche, voci registrate e canzoni di resistenza popolare che facevano eco. Un vero mondo parallelo.

Incontriamo una donna alla quale chiedo del materiale da poter consultare per capire qualcosa in più sullo spazio, ma lei si ferma a parlare con noi.

Ci racconta che per più di 20 anni l’edificio è rimasto vuoto e fatiscente fino a quando non fu occupato nel 1997, ma sgomberato più volte negli anni seguenti. L’Ocupação 9 de Julho, è stata recuperata per l’ultima volta nel 2016 dal Movimento dei Senzatetto del Centro (MSTC), quello che oggi è riconosciuto come il movimento più organizzato di San Paolo, formato da più di 2.000 persone che difendono il diritto umano più importante, quello di abitare.

La “Moradia” non si riassume semplicemente nel concetto di proprietà fisica, dice la donna; fondamentale è creare un sistema tra la vita famigliare, la sicurezza, la salute, l’educazione, l’accesso ai trasporti, l’integrazione e la convivenza. E ciò non sarebbe possibile senza lo sviluppo dei servizi al proprio interno, grazie alla rete di attivisti e volontari che si mobilitano ogni giorno.

L’occupazione oggi vanta dell’unità sanitaria di base che assiste i residenti, di una cucina comunitaria che organizza anche pasti sociali aperti a tutta la popolazione. Ha istituito un corso di preparazione al test di ammissione universitario, i laboratori e le attività ricreative per i bambini sono molteplici. La donna rivendica con veemenza la prerogativa del movimento, che è quella di tenere le porte sempre aperte. Gli abitanti non sono degli esclusi, non è un ghetto. La loro è una vera e propria battaglia per l’inclusione e l’integrazione sociale. Oggi l’Ocupação 9 de julho ospita 124 famiglie, circa 500 persone distribuite su 14 piani. Ma il Movimento dei Senzatetto del Centro attualmente non sta avendo vita facile.

Il 24 giugno 2019, il Dipartimento di investigazioni penali della polizia civile è stato autorizzato ad arrestare nove membri del movimento, tra cui Carmen Silva Ferreira. La denuncia alla base dell’indagine è stata fatta in seguito ad una lettera anonima ed è una conseguenza dell’inchiesta sull’incendio dell’Edifício Wilton Paes de Almeida, avvenuto il 1 maggio 2018.

Carmen Silva Ferreira è una donna nera, bahiana, che a 17 anni subisce violenze domestiche. A 35 è madre di otto figli e decide di lasciare Salvador per recarsi a San Paolo in cerca di una realtà più felice e garantire ai figli un futuro migliore. Una volta arrivata nella capitale paulista, prima dorme per strada, poi inizia a lavorare in un albergo dove conosce donne nella sua stessa condizione: nere, madri sole, lavoratrici che dovevano scegliere se avere una casa o mangiare. E’ così che Carmen inizia a partecipare al Movimento dei senza tetto diventandone leader. La storia della figlia, Preta, all’interno del movimento, inizia quando la madre torna a Salvador per recuperare i figli, andando insieme ad abitare in quella che oggi è l’Ocupacao 9 de Julho.

Preta Ferreira prende coscienza dei propri diritti: il suo destino non è essere una discriminata intersezionale, povera, nera e con un padre violento. Si autodetermina ed è così che prende vita la sua lotta. Nel 2012 inizia una carriera nella produzione culturale. Diventa un’artista a tutto tondo: una comunicatrice nata. Oggi nell’occupazione organizza eventi culturali e socio-educativi, di supporto a ricerche accademiche, laboratori e workshop, concerti, attività sanitarie e ricreative.

Con l’arresto di parte della famiglia Ferreira, le istituzioni tentano di infangare il loro operato, divulgando un messaggio distorto, come se i diritti da loro rivendicati fossero violazione della proprietà privata, associazionismo criminale e terrorismo. L’accusa per madre e figlia è anche di estorsione. Un paradosso. Quando si occupa un edificio non c’è luce, non c’è acqua, non viene fatta manutenzione da anni, non ci sono estintori anti-incendio; non c’è nulla, si parte da zero e il governo non da supporto. Dunque, quando si entra a far parte del movimento, e quindi si va ad abitare, c’è un regolamento interno da rispettare ed il contributo che viene accordato ai residenti è di 200 Reais al mese e serve per la manutenzione degli spazi. Da qui l’accusa di estorsione. Un vero e proprio “imbarazzo illegale”.

Carmen viene assolta ad agosto. Preta sconta 109 giorni di prigione, e poi viene rilasciata. La sua è stata una prigionia politica. Non esistevano prove. In fondo viviamo in un’epoca in cui tutti sanno che la persecuzione politica esiste. In Brasile tanto più.

Carmen oggi è considerata da tutto il mondo una delle attiviste più influenti e l’Ocupação 9 de Julho è riconosciuta come una delle esperienze contemporanee più significative dell’abitazione sociale e di inclusione. Non solo del Brasile, ma a livello globale. Rappresenta anche l’esperienza di difesa più forte del diritto sancito nel 1988 dalla Costituzione brasiliana, a função social da propriedade, ovvero restituire una funzione sociale a edifici disabitati e fatiscenti. Oggi centinaia di essi sono volutamente abbandonati dai proprietari allo scopo di far aumentare i prezzi degli immobili, in una città in cui anche le difficoltà economiche, oltre a quelle abitative, sono enormi: 33 milioni di brasiliani sono senza tetto. Tutte e tutti necessitano e meritano una casa, nessuno occupa perché ci trova gusto. Si rivendica solo un diritto ancestrale e basico, quello di vivere dignitosamente e vicino ai servizi, alle scuole e agli asili. Non è umano spingere sino ai confini della società chi già è stato oppresso.

Queste due donne rivoluzionarie hanno combattuto e combattono tuttora una battaglia contro la persecuzione politica rivendicando il diritto di vivere dignitosamente, nonostante una violenta repressione fisica, morale e istituzionale. Sono le amazzoni della Foresta che tanto mi ha impressionato sotto varie forme, viaggiando in questo paese. Sono stata accolta al suo interno, ho avuto la fortuna di osservare, emozionarmi e comprendere che il pensiero femminista e l’impatto globale di esso sta crescendo anche tra le giovani donne. La strada in Brasile è ancora tortuosa, perché anche i diritti acquisiti e garantiti possono facilmente venir meno a causa del clima ostile che si respira. E’ incoraggiante constatare, però, che in un momento storico in cui le donne sono sotto feroce attacco, il più forte movimento femminista di tutti i tempi prende piede, sostenendo un’azione duratura, che difenda l’uguaglianza e la giustizia per tutte le donne.