30 Dicembre 2020 - Giulia Carletti - Divulgazione

Es Ley! Sessualità e laicità nel dibattito argentino per la legge sull’aborto

Finalmente il progetto di legge, che era già passato alla camera lo scorso 10 dicembre con 131 voti favorevoli e 117 contrari, è passato anche in Senato (dove nel 2018, in seconda lettura, prevalse il no) con 38 voti a favore e 29 contrari. Oggi finalmente, in Argentina, è approvata la legge che garantirà l’IVG fino alla 14esima settimana di gravidanza. È stato decisivo in Senato l’orientamento finale dei senatori indecisi, che a notte fonda hanno optato per il voto favorevole.

A colpire è stato proprio il dibattito interno alle aule del parlamento argentino: ben più di una discussione legislativa. Sia quello nella Camera (durato di più di 20 ore), che quello all’interno della Commissione nella Riunione Informativa, che quello in Senato, sono andati ben oltre la mera questione di “aborto sì e aborto no”, cosa che qui in Italia ancora si fa fatica a fare. Si fa fatica a parlare di prevenzione, di metodi contraccettivi, di sessualità della donna vissuta in modo sereno e libero. Si fa fatica a dirlo. 

In Italia gli obiettori sono il 69% dei ginecologi e 46,3% degli anestesisti (report ISTAT 2018). Nonostante la legge 194 sia nata con il preciso intento di preservare la salute della donna e la promozione della procreazione consapevole e responsabile, il dibattito politico è ancora fortemente ancorato a tematiche etico/religiose più che sui dati e lo sviluppo della medicina, come le nuove linee guida 2020 della Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia, tra cui spostare il limite del trattamento per l’aborto farmacologico da 7 a 9 settimane di gestazione (come già indicato dall’OMS) e garantire il regime ambulatoriale/consultoriale per l’aborto farmacologico (pillola RU486). Carente in Italia anche il dibattito e la legislazione sulla promozione della salute sessuale e riproduttiva e sull’educazione all’affettività e alla sessualità nella scuola dell’obbligo. 

Per l’Argentina, invece, è stata una giornata storica. Come ha ribadito Nelly Minyersky, storica attivista femminista e avvocatessa per i diritti umani, “abbiamo la possibilità di entrare nella storia, perché quello che stiamo facendo è un ampliamento dei diritti: non obblighiamo nessuno, ma non vogliamo tantomeno che nessuno ci obblighi nella cosa più intima della nostra vita”.

Una partecipazione di un frastuono fatto di vitalità e di lotta, quella all’esterno del palazzo del Congresso a Buenos Aires, dove le/i manifestanti si sono riuniti e sono rimasti per tutta la durata del dibattito del 10 e del 29, fissando i grandi schermi installati per l’occasione (vi immaginate una cosa del genere qui da noi?).

Un frastuono necessario, in uno dei paesi in cui l’urgenza di una legge sulla legalizzazione dell’aborto sicuro (IVE – Interrupción Voluntaria del Embarazo) è sempre più presente. Questo perché in Argentina l’interruzione di gravidanza è consentita solo in caso di stupro o se esiste un rischio per la salute della madre. Ma non sempre, in questo ultimo caso, è comunque praticato. Come riporta la Rete argentina all’accesso all’aborto sicuro, nel triennio 2016-2018, 459 donne sono morte per cause legate alla gravidanza, al parto e puerperio; 65 di loro erano legati all’aborto. Queste morti rappresentano il 15% di tutte le morti materne. 

Luis Ernesto Pedernera Reyna, presidente della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti dei Bambini, ha partecipato alla Riunione Informativa della Commissione. Ha colpito la sua fermezza nel fare subito la differenza tra la questione dell’IVG e quella legata ai diritti dei minori. “Sono due cose separate!” – ha detto – “l’interpretazione secondo cui la vita inizia al concepimento è obsoleta”. Ha ribadito quindi l’urgenza di attuare un programma integrale di educazione sessuale “durante tutto l’anno scolastico” che “trascenda il meramente biologico”. Una questione centrale per l’Argentina, che rievoca a tratti anche quella italiana, infatti “è proprio la quasi totale inesistenza della possibilità di accesso per giovani e adolescenti ai servizi di contraccezione e salute sessuale. […] Per questo bisogna “assicurarsi che gli adolescenti dispongano delle informazioni sui metodi di pianificazione familiare e anticoncezionale, in forma accessibile e confidenziale.”

Cosa c’entra la sessualità con l’aborto? Lo ha spiegato a gran voce la ministra delle Politiche di Genere e Diversità Sessuale, Estela Diaz, mettendola al primo posto nel suo intervento in Commissione: “Si tratta chiaramente di un problema di sessualità […] sappiamo che abbiamo la capacità di avere figli per 30/40 anni, dall’età di 12/13 ai 50 anni. Un dato che ci conferma che molto eccezionalmente, la genitorialità sia legata al rapporto sessuale […]. Quello che risulta inaccettabile in questo dibattito e quando si nega il dibattito rispetto alla sessualità, è trasformare la gestazione in un obbligo o in una condanna per aver avuto dei rapporti sessuali. E considerare noi donne come strumento per la riproduzione umana, senza considerare la nostra volontà e i nostri progetti di vita”.

“Non si vuole riconoscere alle donne il controllo del proprio corpo […] Basta con gli atteggiamenti inquisitori! Non si può implementare una legge che penalizza l’aborto, il controllo dello Stato e religioso della nostra sessualità”, ha ribadito Silvia Sapag in Senato. 

 “Stiamo costruendo diritti e stiamo costruendo la scienza medica. Dobbiamo lasciare da parte le nostre credenze, la nostra ‘morale’ – interviene in Commissione Nelly Minyersky – Depenalizzare l’aborto ha un effetto fondamentale in tutta la nostra società: e cioè quello di dire che tutte le relazioni sessuali – che sono lecite nel nostro paese, che sono una fonte di piacere e anche di riproduzione – finora sono state considerate da tutti gli strumenti del potere come qualcosa di negativo, con una sorta di velo nero, un velo di tristezza. La sessualità non è sinonimo di morte, di sacrificio, di inibizione, di mancanza di voce.”

Il tema della laicità è stato affrontato anche da Adolfo Rubinstein, ex Ministro della Salute nel precedente governo Macri. “Non è che uno difende la vita e un altro la libertà di decisione. Noi difendiamo tutti e due […]. Qui qualcuno pretende di parlare di credenze che non tutti abbiamo. Non viviamo in uno stato confessionale, l’Argentina è uno Stato Laico. E rispetta quelli che credono e quelli che non credono. E’ ora di andare avanti e di risolvere questa questione che è rimasta irrisolta da anni. Come dissi nel 2018 e ripeto ora: che sia legge”. 

È importante notare come la trasversalità del voto sia stato uno dei punti di forza del dibattito, dove le/i parlamentari si sono orientate/i a prescindere dallo schieramento o dalla propria estrazione politica. È un tratto caratteristico della politica argentina attuale, dove ad esempio la coalizione di governo, il progressista Frente de Tod*s, ha una forte componente peronista cattolica che ha tuttavia sostenuto in larga parte questa legge, proprio in nome del principio di laicità dello Stato.

Nelle due camere gli interventi delle parlamentari non hanno esitato a parlare di come il tema dell’aborto vada ben oltre quello della salute pubblica (questione che, ovviamente, rimane centrale!) ma che abbia implicazioni storiche di grande portata, atte a cambiare una volta per tutte il pensiero sulla donna e sulla sua sessualità e progetti di vita. Come ha insistito Paula Pennacca, deputata di maggioranza che proviene da quei movimenti sociali che ogni giorno si occupano di educazione e diritti nei quartieri popolari: “Qui non stiamo discutendo se ‘aborto sì’ o ‘aborto no’ […] Si tratta di decidere se questi continueranno a essere clandestini, illegali, rischiosi per la vita delle donne, o se cominceranno ad essere praticati in forma legale, sicura e gratuita, garantiti dallo stato e con una prospettiva di salute pubblica. Vorrei ricordarvi di quelle ragazze del barrio che sono promotrici sanitarie, che dicono alle loro compagne che esistono i diritti sessuali e anche i diritti riproduttivi: separati ma uguali!”. 

Concludiamo con le parole di Gabriela Cerruti, parlamentare combattiva ed ex giornalista, tra le più note sostenitrici di questa legge: “Il mondo è ingiusto, effettivamente, ma la risposta non è nel nostro utero. Al contrario. Il mondo è ingiusto perché è costruito da 500 anni su un sistema basato sullo sfruttamento della donna e della natura. E noi siamo le prime a porsi di fronte alle battaglie per cambiare questa visione del mondo. Quando una donna decide che una gravidanza è una gravidanza indesiderata è perché desidera qualcos’altro. E il vero conflitto risiede proprio in queste altre cose che desidera. Perché quando noi donne decidiamo di fuggire da quel posto che ci avevano tenuto riservato per tutta la storia (che era la cucina e la stanza da letto), di dire che invece abbiamo i nostri progetti, i nostri desideri […]. Scegliere non è solo decidere tra “gravidanza sì” o “gravidanza no”. Scegliere è decidere il progetto di vita, scegliere in ciascun momento quello che vogliamo fare”.

Contributi di: Silvia Babolin, Lorenzo Natella