10 Marzo 2022 - Lorenzo Natella - Divulgazione

Gli invisibili di (e contro) Putin

In questi giorni c’è un interessante dibattito in merito alla effettiva rappresentatività delle manifestazioni pacifiste in Russia e di conseguenza alla composizione sociale di questi fenomeni, del sentimento anti-Putin e dell’elettorato russo in generale. 

Escono fuori soprattutto punti di vista che sostengono come lo zoccolo duro del putinismo sia rappresentato dalla grossa classe media non urbana, dal ceto lavoratore, nonché ovviamente dalla super-casta degli oligarchi. Si sostiene come quelli che vivono nelle grandi città scendono in piazza mentre tutti gli altri no, e come le sanzioni colpirebbero soprattutto i russi metropolitani occidentalizzati che guardavano Netflix e compravano Ikea e dunque ora sarebbero arrabbiati per la minaccia al loro stile di vita. Questo il sunto di opinioni lette da articoli di osservatori italiani e italo-russi, tra cui un nipote di Gramsci

Il sito dell’ente elettorale russo mostra i risultati delle ultime elezioni per il rinnovo della Duma nel 2021. Intanto non c’è alcuna differenza apprezzabile tra città e campagna, il partito di Putin prende percentuali simili ovunque, facilitate dalla propaganda governativa. Ora, al netto del fatto che buona parte delle opposizioni hard-line, bannate o disinnescate dal sistema autocratico russo, siano effettivamente espressione di un ceto urbano benestante, c’è però un altro dato: la partecipazione al voto segue le stesse dinamiche occidentali, per cui nei quartieri ricchi delle città vota più gente, compresi i distretti dell’intellighenzia occidentalizzata dove si esprime il sentimento anti-regime. Al contrario, nelle periferie povere e post operaie vota meno gente. Proprio come in una “democrazia qualsiasi”. Così nel distretto di Chertanovo, il più povero di Mosca, multietnico, spazialmente ghettizzato e con i più alti indicatori di disagio sociale, la partecipazione elettorale si ferma al 31%. Mentre nei quartieri più ricchi del distretto centrale la partecipazione sale al 42%. Il partito di Putin prende più voti nel primo quartiere che nel secondo, a fronte però non solo dei 10 punti percentuali di affluenza in più, ma anche della tattica dello smart voting delle opposizioni anti-sistema, in particolare quella di Navalny che aveva invitato a votare qualsiasi candidato dell’opposizione legale che potesse sconfiggere quelli di Russia Unita (il partito di Putin). 

Le diseguaglianze in Russia sono in rapido aumento, nonostante la povertà sia in diminuzione grazie agli interventi statali. Per le statistiche ci sono 18 milioni di poveri nel paese, il 12% della popolazione, ma il 33% dei russi si considera povero basandosi sul suo stile di vita. Secondo molte ricerche la città con i redditi più bassi è Togliatti, seguita da posti come Samara e Astrakhan. Una sorta di rustbelt impoverita dal tracollo dell’industria, dove imperversa la violenza delle mafie. Da queste parti ci sono quartieri dove l’affluenza al voto si ferma sotto il 25% e dove Putin perde le elezioni. Uno dei 3 deputati della Duma che si sono espressi contro la guerra in Ucraina, il comunista M. Matveyev, è stato eletto nei quartieri popolari di Samara. Tanto l’opposizione “sistemica” quanto quella di Navalny sono in grado di mobilitare i propri corpi sociali di riferimento quaggiù, soprattutto per protestare contro la corruzione e il malgoverno locale. 

Nelle periferie di Mosca e San Pietroburgo accade lo stesso, per cui molte piattaforme civiche che chiedono servizi migliori e difendono lo spazio pubblico, ricevono la repressione governativa ma trovano una certa interlocuzione con i rappresentanti delle opposizioni ufficiali. E’ il caso emblematico del parco di Torfyanka, dove centinaia di residenti di un altro quartiere povero di Mosca hanno messo in piedi un movimento di protesta contro la costruzione di una chiesa ortodossa dentro il loro parco urbano, a causa delle ricadute sociali in termini di privazione degli spazi pubblici nel quartiere. Il progetto speculativo era voluto nientemeno che dal Patriarca Kirill, noto alle recenti cronache per il suo supporto surreale alla guerra in Ucraina. Affrontare la Chiesa ortodossa significa andare incontro ad arresti e sperimentare le botte dei gruppi fascisti, come è accaduto nel 2015 a questi residenti. La battaglia però è stata vinta, con il supporto di esponenti liberali, comunisti e intellettuali che venivano dal centro città, ma anche per via della scarsa prospettiva organizzativa sul lungo periodo di movimenti come questo, indeboliti dalla legge russa sulle “organizzazioni indesiderate” che neutralizza associazioni e gruppi di advocacy. 

E il supporto di Putin allora dov’è? Nella sua intervista il nipote di Gramsci invita a spostarsi di 10 km dalle grandi città per vederlo. Ha ragione. Balashikha, città di provincia simbolo della classe media che prende il treno tutti i giorni per andare al lavoro a Mosca, sede di una famosa base militare. Qui l’affluenza al voto parlamentare è del 51% e il partito Russia Unita prende la stessa cifra, in linea con il dato nazionale. Eccola la vasta provincia di Putin, la classe media, gli anelli metropolitani, le piccole città, i contesti rurali e periurbani. Oltre questa ci sono i centri delle città dove i putiniani sono di fatto in minoranza. E infine c’è la periferia che rimane a casa, probabilmente per gli stessi motivi per cui le classi povere non votano neanche altrove, a Chertanovo come a Tor Bella Monaca. 

Questo inevitabilmente ci riconduce all’eterno dibattito su “chi” dovrebbe rappresentare il progressismo occidentale oggi. Restare nelle Ztl urbane con stili di vita elevati e una buona preparazione culturale, o rivolgersi alla classe media spaventata dai cambiamenti globali e che vota chi già ne fa gli interessi a suon di decoro, ordine e legittima difesa? Intanto dalla domanda restano fuori gli unici e le uniche che subiscono tutto il peso di guerre e sanzioni. I poveracci, i niente, gli invisibili, quelli che non compaiono nelle statistiche perché viene studiato a tavolino il loro silenziamento attraverso la de-rappresentazione delle esigenze. Alcuni non possono votare, come tanti nostri concittadini che non hanno il diritto di far valere le proprie ragioni nelle urne, perché i loro genitori sono nati altrove. In altre zone d’occidente questo diritto ce l’hanno ma nessuno li iscrive nei registri elettorali, nessuno li conta nei censimenti ufficiali. Gentrificazione, gerrymandering, redistricting. C’è tutta una scienza raffinatissima a uso delle classi dominanti per escludere i subalterni dalla vita civile. Tornando alla Russia, l’espulsione dei popoli dalle terre indigene e contadine da parte di multinazionali e monopolisti di Stato ha dato origine a movimenti sociali che, soprattutto dalle proteste del 2012 in poi, sono stati duramente repressi e annichiliti dal governo. 

E’ nell’assenza di contro-meccanismi di coscientizzazione che questo sistema si reitera, che la guerra trasforma le democrazie in regimi autocratici e questi ultimi in dittature. Laddove esperienze come la Siria del Nord-Est ci hanno dimostrato che questo esito di abbrutimento politico e morale non è scontato, se esiste una leadership capace di innescare processi economici, politici e co-educativi nei quali organizzare la rabbia delle masse diseredate, per creare nuovi modelli di convivenza, anche sotto le bombe. E’ presto per dire se un nocciolo di questa tensione costruttiva potrà nascere dalle pratiche di mutualismo nell’Ucraina invasa o nella Russia economicamente martoriata. Se così non sarà, ci sarà spazio solo per i mostri novecenteschi che credevamo sepolti.