17 Marzo 2017 - Lorenzo Natella - Divulgazione

L’Europa al bivio, verso il 25 marzo

Il 25 marzo prossimo cade il sessantesimo anniversario dei trattati di Roma, che nel 1957 sancirono la nascita della CEE e vengono dunque considerati un atto fondativo del primo nucleo storico dell’Europa unita. La Capitale italiana, sabato 25 sarà dunque attraversata dai festeggiamenti di rito, ma anche da diversi cortei, iniziative e convegni sul futuro dell’Unione e sul ruolo dell’Europa in questo millennio. Da una parte la città vedrà la presenza dei movimenti euroscettici, a destra come a sinistra, che si fanno chiamare “sovranisti” perché in ognuno dei due campi politici professano un ritorno alle vecchie patrie come ricetta contro l’inesorabile fallimento delle politiche europee degli ultimi decenni. Dall’altra parte, naturalmente, saranno a Roma le élite e i protagonisti dell’Europa del disastro, quel magma politico rinchiuso nelle logiche del mercato e della filosofia neoliberista, che ha prodotto le ricette dell’austerità e del debito, la polarizzazione nord-sud, lo sviluppo incontrollato, i tagli indiscriminati al welfare e, di conseguenza, il lento sgretolamento di un sogno continentale iniziato ben prima degli stessi trattati di Roma. 

Tra le due opzioni, fortunatamente, se ne insinua una terza. Un’opzione europeista dal basso, solidale e democratica, che ha mille sfaccettature e diversità, ma che sta cercando faticosamente di trovare l’unità necessaria per scardinare il duopolio tra due vecchie ricette ugualmente pericolose e antistoriche. Ma andiamo con ordine.
Mercoledì scorso, la nazione che ospitò il trattato di Maastricht nel ‘92, i Paesi Bassi, ha votato per il rinnovo del Parlamento. Un’elezione che ha attirato l’attenzione di tutta Europa per via del suo peso simbolico ma anche per gli attori coinvolti. Alla vigilia del voto, infatti, la sfida sembrava essere tra due personaggi chiave della destra europea. Da una parte l’ex premier Mark Rutte e il suo partito conservatore, neoliberista e fortemente pro-austerità, dall’altra lo xenofobo Geert Wilders con un programma anti-euro, nazionalista e spudoratamente oltre i limiti del razzismo. Il partito di Wilders è considerato il più radicale tra tutti i partiti della destra europea (fuori dal pulviscolo di neofascisti e neonazisti). 

All’indomani delle elezioni olandesi, però, i pronostici sono stati stravolti. La destra moderata di Rutte è ancora avanti ma con appena il 21%, Wilders si ferma molto distante, testa a testa con due partiti centristi che saranno i veri aghi della bilancia: i cristiano-democratici e i liberali D66. La vera sorpresa è il boom del partito eco-socialista GroenLinks, profondamente rinnovato dal suo giovane leader Jesse Klaver, un sindacalista di origini marocchine e indonesiane. GroenLinks (che è primo partito ad Amsterdam e primo tra i giovani) nasce addirittura dallo scioglimento del Partito Comunista olandese che, in controtendenza con gli altri comunisti occidentali, ha deciso di diventare una forza verde dopo il crollo del muro di Berlino. Ciò nonostante, la prima forza politica della sinistra diventa il Partito Socialista, che a dispetto del nome è un partito piuttosto radicale. Nato come piccola formazione maoista negli anni ‘70, il SP ha raggiunto negli ultimi decenni un forte seguito popolare, in grado di catalizzare gran parte delle vertenze sui territori grazie a un’attenta politica locale a stretto contatto con le comunità. Dei socialdemocratici del Partito Laburista rimane un misero 6%. Il futuro governo sarà di larghissima coalizione tra le forze più moderate. 

Ciò che emerge da questo voto europeo, a pochi mesi dai due grandi appuntamenti elettorali in Francia e in Germania, è che le destre si contendono il potere, ma è possibile incrinare il loro dominio a partire dal rinnovamento dei nostri linguaggi e dal lavoro costante nei territori, nelle comunità, nei posti di lavoro. L’Europa si salva se all’interno della sfida tra sovranismo e neoliberismo, si infila un asse che viene dal basso e che punta a rompere tutti gli esiti già scontati. Il sovranismo nazionale, in questo senso, a sinistra non può funzionare e non funzionerà. Proporre un’uscita dall’Euro da sinistra, come soluzione per ogni problema sociale ed economico, oppure riproporre il concetto di Patria come scenario per il cambiamento delle condizioni delle classi popolari, significa non avere la capacità di leggere il presente e i suoi rapporti di forza. Al contrario, a sinistra serve un europeismo radicale, spontaneo, autonomista, solidale, profondamente in contrasto con ogni logica mercantilista dell’Europa e dei suoi territori, ecologista per sua stessa natura. Solo una sinistra del genere può rompere gli ingranaggi di un sistema che garantisce la continuità nella sfida “tra due destre”, proprio come ieri la garantiva nel teatrino dei “progressisti e conservatori” che tali non erano più da tempo.

L’immagine delle Città Ribelli ci fornisce l’esempio più lampante di questa strada che si può percorrere, con i suoi mille limiti. Realtà come Barcellona e le altre città spagnole del cambiamento, Napoli con le sue molteplici contraddizioni, Grenoble governata da una coalizione civica ambientalista, la prefettura dell’Attica in Grecia che resiste al memorandum con misure controcorrente, il Land di Turingia in Germania che sperimenta forme di autonomismo nel cuore dell’UE, i sindaci polacchi che promuovono oasi di libertà civili in un contesto fortemente conservatore, ecc. Ma perché il cambiamento europeo si innesca solo localmente? Perché nelle Città Ribelli riesce la lotta all’austerità e al neoliberismo, mentre le nazioni sembrano incastrate in questa dannosa faida tra destra nazionalista ed establishment? Solo la storia ci darà una risposta definitiva, ma una cosa è certa: l’Europa che aveva l’obiettivo di superare gli stati nazionali, funziona solo se la cooperazione continentale avviene tra i territori, tra i popoli e tra le comunità. L’Europa delle città, delle regioni e delle autonomie, è l’unica che sta funzionando, dove si sperimentano pratiche di partecipazione dei cittadini, ri-municipalizzazione, promozione dei beni comuni, regolamentazione della rete economico-produttiva. Nella rete municipalista che sta prendendo vita, risiede l’unico argine che riesce a rompere il giocattolo ai conservatorismi che si fronteggiano tra loro. Siano essi Rutte o Renzi da una parte, Wilders o Salvini dall’altra. 

La cosiddetta crisi migratoria è un’altra importante cartina tornasole. In Olanda l’ex premier ha rincorso il discorso xenofobo e islamofobo dello sfidante Wilders per drenare consensi fino all’ultimo, con successo. In Italia lo stesso avviene dal momento in cui uomini di governo che si dicono “progressisti” si mettono a rincorrere le politiche della Lega Nord, con atti di governo che ci riportano indietro di decenni. Come i decreti di Orlando e Minniti su immigrazione e sicurezza, che prevedono la criminalizzazione della marginalità sociale, la riapertura dei CIE, la militarizzazione dell’assistenza sociale e soprattutto l’eliminazione di un grado d’appello per chi ha ricevuto un diniego alla richiesta d’asilo in primo grado, sacrificando un diritto sancito dalla Costituzione e dalla civiltà democratica sull’altare dello snellimento burocratico! Contro questa corsa folle al sentimento razzista, alla paura, al ritorno dei muri, l’Europa democratica scende in piazza con mezzo milione di persone in corteo a Barcellona in favore dell’accoglienza e contro le politiche di chiusura del governo spagnolo. Lo stesso avviene in molte città in Grecia, Danimarca, Germania e perfino in Italia, con la massiccia manifestazione napoletana – fin troppo strumentalizzata dai mass-media – contro le politiche discriminatorie della Lega di Salvini.

L’Europa ha diritto di esistere se recupera le sue utopie e se non vi rinuncia di fronte agli attacchi interni, per questo noi dobbiamo pretendere un’Europa dove le frontiere vengano aperte, smantellate, cancellate dalla carta geografica. Il diritto di movimento per i lavoratori di ogni provenienza e il diritto d’asilo sono pilastri di questa Unione che oggi abbiamo regalato agli sciacalli e che può tornare ad essere tale, ancora una volta, solo dentro un’Europa dei territori.  

Per questo e per tanti altri motivi, il 25 marzo gli unici luoghi dove noi dovremmo stare sono quelli che chiedono un’Europa in questo senso. A piazza Vittorio Emanuele la piattaforma Europe4all scenderà in strada per un’Europa distante tanto dai nazionalismi e sovranismi, quanto dall’europeismo immobilista dell’austerity, dei trattati commerciali, del fiscal compact. La sera stessa Roma ospiterà il convegno “il tempo del coraggio” promosso dalla rete Diem25 insieme a nomi illustri della politica e della cultura internazionale, per progettare un New Deal europeo nel solco di una Unione federalista, municipalista e solidale. 
Occorre dimostrare che esiste un’alternativa, l’unica alternativa vincente contro i nazionalismi reazionari e contro questo establishment in bancarotta. Solo in questa direzione ha senso parlare di una ricorrenza simbolica per un’Europa che possa ancora essere percepita come casa nostra, di tutti e tutte, e non più come un’imposizione delle élite che ci costringe a scegliere tra due mali. Dall’indomani di questo 25 marzo, l’Europa dobbiamo iniziare a costruirla noi, nelle nostre città, aprendo al mondo i nostri luoghi quotidiani e facendo rete con gli altri luoghi d’Europa che condividono questo obiettivo ambizioso, radicale e democratico. Allargando lo spazio europeo delle rivendicazioni femministe, migranti, lgbtq, operaie, precarie, contadine, per l’ambiente e per i beni comuni. E’ tutto in mano nostra.