18 Febbraio 2021 - Lorenzo Natella - Divulgazione

Per Mario, gli altri e le altre

Della morte di Mario Paciolla, nostro concittadino, nostro compagno, quel poco che sappiamo oltre alle versioni lacunose delle autorità colombiane, è solo grazie ai coraggiosi reportage di giornaliste e giornalisti investigativi che, anche a costo della vita, in Colombia cercano di scavare dietro la rete di violenze, malaffare e corruzione politica. Le inchieste del noto quotidiano El Espectador sono un esempio di giornalismo ancora in grado di sfidare e tenere testa al potere. A loro va innanzitutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione, oltre che alla famiglia di Mario, ai suoi compagni ed amici che si stanno battendo per chiedere un impegno dell’Italia e delle Nazioni Unite per stabilire verità e garantire giustizia. 

Come racconta El Espectador, dunque, e come sostengono ormai da sette mesi i genitori di Mario Paciolla, il giovane cooperante napoletano impiegato presso la Missione di Verifica ONU nel dipartimento di Caquetà per monitorare il rispetto degli accordi di pace tra governo e guerriglia, potrebbe non essersi suicidato. Troppi gli indizi e le versioni discordanti, troppi i tentativi di depistare le indagini da parte delle autorità militari colombiane e dei contractor incaricati della sicurezza della Missione delle Nazioni Unite, a partire dalla repentina manomissione della stanza dove fu trovato il corpo di Paciolla il 15 luglio scorso. 

Mario era spaventato, da tempo non si sentiva più al sicuro nel paese andino. Disse ad amici e parenti di voler tornare presto a casa, che non voleva avere più niente a che fare con la Colombia. Tutto era iniziato con un evento politico di portata nazionale: le dimissioni del Ministro della Difesa colombiano, Guillermo Botero. L’influente uomo politico – un Ministro tecnico diremo noi – si era trovato al centro di una serie di scandali inerenti il ruolo delle forze armate nella costruzione di prove false che danno poi adito ad esecuzioni extragiudiziali di guerriglieri, veri o presunti, del ramo attivo delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). 

Una prima mozione di sfiducia in Parlamento contro Botero non passò grazie al supporto dei partiti di area governativa, cioè che appoggiano il Presidente Ivan Duque. Ma la seconda volta le cose presero un’altra piega; all’interno della destra colombiana nascevano le prime discordanze, molti parlamentari dell’uribismo (la corrente politica dell’ex Presidente Uribe, ancora oggi molto potente) chiedevano la testa di Botero, ormai inviso all’opinione pubblica. Il Ministro della Difesa si dimise ancor prima di arrivare al voto di sfiducia. Uno dei motivi che innescarono l’indignazione cittadina contro Botero era stato il bombardamento a tappeto di un campo di guerriglieri, dove persero la vita almeno 7 bambini, nel dipartimento di Caquetà. 

Le dimissioni arrivarono il 6 novembre 2019. Nella Missione ONU molti festeggiarono la caduta di un Ministro ostile, ma altri iniziarono ad avere timore. Infatti, il senatore d’opposizione che si era speso maggiormente per la caduta di Botero, Roy Barreras, aveva allegato alla mozione di sfiducia un dossier che inchiodava la cupola militare, il suo ruolo nel bombardamento e in generale nella costruzione dei cosiddetti “falsos positivos” che portano all’esecuzione di ex membri delle Farc in spregio agli accordi di pace del 2016. Barreras è un nome noto della politica colombiana, un progressista passato per diversi partiti, profondo conoscitore dei processi di pace in quanto già membro della delegazione colombiana che aveva negoziato gli accordi con le Farc a L’Avana: un percorso politico che lo poneva frontalmente contro il Presidente Duque e contro l’allora Ministro dal pugno duro. Quei documenti che presentò nella mozione di sfiducia, tuttavia, erano informazioni raccolte dall’equipe della Missione ONU, sulle quali aveva lavorato anche Mario Paciolla. 

Riferisce El Espectador che proprio da quel momento Paciolla ha iniziato ad aver paura, a dichiarare di sentirsi tradito e usato nella Missione, da dove era partita una vera e propria fuga di informazioni. Paciolla iniziò anche ad eliminare ogni sua traccia online: “Non voglio che nessuno possa dire che sono amico di qualcuno o relazionarmi con qualcun altro su Facebook”. Il suo lavoro era stato strumentalizzato per un obiettivo politico di grandi dimensioni, che metteva i membri dell’equipe sul campo in pericolo di ritorsioni, sia delle forze armate che di gruppi paramilitari vicini alla destra governativa. Nessuno sa come sia arrivato quel dossier nelle mani del senatore Barreras, se veramente come lui sostiene è il frutto di defezioni di membri dell’esercito stanchi di assistere inermi ai soprusi delle forze armate, ma è quasi certo che la relazione era fuoriuscita illecitamente dagli uffici della Missione. 

In Colombia il clima nei confronti del personale ONU non è mai stato buono, recentemente sono stati riportati diversi casi di cooperanti messi in pericolo dagli stessi funzionari delle Nazioni Unite che utilizzano materiale riservato per scopi politici. Questo espone tante persone a rappresaglie e vendette, in un paese dove solo nel 2020 sono stati ammazzati ben 309 leader sociali e difensori dei diritti umani, delle popolazioni indigene e dell’ambiente. A questi si aggiungono i circa 250 ex guerriglieri delle Farc, totalmente smobilitati e disarmati, uccisi dall’entrata in vigore degli accordi di pace. Infine, il contrasto dell’esercito contro la dissidenza delle Farc ancora in armi, viene usato spesso come copertura per reprimere le popolazioni rurali e le rivendicazioni sindacali e territoriali. 

Chiedere verità e giustizia per Mario Paciolla significa, come prima cosa, portare avanti le ragioni di una pace reale nel paese sudamericano, chiedere all’Italia e all’Unione Europea di smettere di considerare il governo colombiano come un argine al “pericolo rosso” nella regione. Con la scusa di fare da cane da guardia verso alcuni paesi vicini, a partire dal Venezuela, il governo colombiano ha collezionato scandali, incidenti, falsificazioni ed eccidi. I grandi gruppi d’interesse politico-economico in Colombia non possono essere alleati della pace e della convivenza, perché sono una macchina che si alimenta con la tensione perenne nel continente americano. Ne è una prova la recente ingerenza del massimo rappresentante della Giustizia di Bogotà nelle delicate elezioni in Ecuador appena trascorse. 

Tante e tanti giovani partono dall’Italia, con spirito internazionalista, verso luoghi difficili per rendere il mondo un luogo un po’ più giusto. Molti di loro sono stati uccisi, fatti scomparire, ingiustamente detenuti, ma non hanno trovato nello Stato italiano né nelle istituzioni internazionali degli alleati. Sulla morte di Giulio Regeni non abbiamo ancora avuto giustizia, in nome dei sanguinari rapporti commerciali con l’Egitto. Per gli stessi motivi Patrick Zaki è ancora nelle carceri di Al Sisi. Eddi Marcucci è privata della libertà in Italia, poiché, dopo aver combattuto l’Isis in Siria del nord, un tribunale l’ha dichiarata soggetto pericoloso e messa sotto sorveglianza speciale. 

Per tutte e tutti loro, per Vittorio, Orso, Dana, Nicoletta, dobbiamo essere noi a non far spegnere le luci, anzitutto sostenendo le battaglie dei popoli contro le oligarchie, i fascismi, la devastazione territoriale, la violenza contro i lavoratori, il patriarcato. Questa è la strada per la giustizia e per la verità, in ogni angolo del mondo.