7 Gennaio 2017 - Lorenzo Natella - Divulgazione

Tricolore e Rivoluzione

Oggi, 7 gennaio, si celebra la festa della bandiera italiana, il Tricolore, vessillo nazionale che ha attraversato più di 2 secoli di differenti ideologie, diverse “Italie”, con diversi popoli e diversissime classi dirigenti, ognuna delle quali ha sventolato il Tricolore a proprio uso e consumo. Dal vessillo napoleonico a quello monarchico di casa Savoia, dall’infamante fascio littorio alla stella rossa delle Repubbliche Partigiane. 

Eppure, oggi, forse proprio a causa delle tante ideologie che l’hanno issata, la bandiera italiana è spesso associata ad un uso nazionalistico e conservatore, all’omogeneità di pensiero, ad un presunto orgoglio identitario o addirittura ad un’anti-storica difesa delle frontiere dall’arrivo di donne e uomini disperati. Dai palchi della Leopolda alle manifestazioni neofasciste, dai comizi del VaffaDay ai presidi anti-migranti… ma anche fortunatamente nelle manifestazioni dell’Anpi, del mondo sindacale, in difesa della Costituzione e del territorio. Una bandiera versatile che – correndo il rischio di sembrare perentorio – non dovrebbe appartenere a chi ne fa un uso distorto. Purtroppo non tutti conoscono la storia della nascita del Tricolore italiano, perché se molti dei casi sopra citati la conoscessero, eviterebbero come la peste questi colori sintomo di ribellione, anti-autoritarismo, insurrezionalismo, perfino orgoglio di classe. 

La bandiera italiana nasce come vessillo rivoluzionario in un’epoca conflittuale, l’ultimo decennio del ‘700, caratterizzata dalla nascita delle idee egualitarie e democratiche in un mondo in transizione verso l’era contemporanea. Dalla Francia si diffondevano in tutta Europa le idee giacobine più radicali, che circolavano nelle università e nei circoli dell’intellighenzia illuminata. Due giovani studenti universitari, il bolognese Luigi Zamboni e l’astigiano Giovanni Battista De Rolandis, di carattere ribelle e attenti al diffondersi delle idee democratiche più innovative, nel 1790 entravano in contatto con esponenti dei servizi segreti di Napoleone, intenzionati ad espandere la rivoluzione francese in Italia e soprattutto nelle terre dello Stato della Chiesa. A Bologna, dove i due studiavano e vivevano, il regime Pontificio mostrava la sua anima più tiranna, amministrando il potere con torture, omicidi, vessazioni sociali, restrizioni economiche. L’idea di rovesciare il potere papale a Bologna, dunque, circolava da tempo e con l’appoggio esterno della Francia. 

Zamboni e De Rolandis partirono allora per conto dei francesi su una nave da Marsiglia diretta a Roma, con l’obiettivo di spiare la forza militare del Papa. L’imbarcazione fece tappa nel 1793 sull’Isola di San Pietro in Sardegna, dove i due conobbero il rivoluzionario esiliato Filippo Buonarroti, considerato da molti il primo intellettuale comunista d’Europa, amico e mentore di Karl Marx, che sull’isola aveva guidato un’insurrezione e promulgato una Repubblica democratica radicale, “l’Isola della Libertà”, ispirata ai valori propugnati da Buonarroti stesso: «Si strappino i confini delle proprietà, si riconducano tutti i beni in un unico patrimonio comune, e la Patria somministri in misura eguale ai diletti e liberi suoi figli il vitto, l’educazione e il lavoro». L’esperienza dell’Isola della Libertà durò appena quattro mesi, ma nel frattempo i due studenti, tornati a Bologna, erano convinti e decisi a liberare la città dal giogo Pontificio e instaurare una repubblica sul modello osservato in Sardegna. 

Il piano era fortemente insurrezionalista: incendiare i palazzi del potere, sorprendere armati la guardia svizzera, sequestrare il prefetto pontificio, aprire le carceri, circondare le caserme, riunire il Senato e far approvare la nuova legge repubblicana. Zamboni e De Rolandis potevano contare su un gruppo di numerosi giovani bolognesi, metà studenti e metà ragazzi di strada, per dar vita all’operazione rivoltosa. 
Ma il gruppo aveva bisogno di un simbolo, di un vessillo, oggi diremmo di un logo. Sul modello delle coccarde tricolori dei rivoluzionari francesi, dunque, vennero cucite dalle donne bolognesi – parenti dei congiurati e congiurate esse stesse – delle coccarde circolari dove il colore blu fu sostituito dal verde. Le ipotesi sul perché sono molteplici, dall’allegoria della speranza per i popoli italiani soggiogati, all’abbondanza di stoffa verde per via delle uniformi universitarie di questo colore. Poco importa: Un gruppo di donne rivoluzionarie aveva appena dato vita al Tricolore, nel 1794, per perorare la causa di un’insurrezione popolare con lo scopo di fondare una repubblica democratica egualitaria su suolo italiano.  

I francesi, che fino a quel momento avevano supportato il progetto dei ribelli, gli voltarono le spalle all’ultimo momento. Il governo di Bonaparte considerava l’azione troppo avventata e l’organizzazione giovanile troppo autonoma per fare gli interessi francesi in una eventuale fase successiva. Il voltafaccia bonapartista non abbassò l’umore dei giovani bolognesi, convinti anzi di poter costruire una repubblica realmente indipendente da poteri esterni, ma fu anche la causa del fallimento dell’operazione. 

In seguito ad alcune defezioni e tradimenti, la congiura venne scoperta e le guardie pontificie poterono reprimere facilmente la sollevazione. De Rolandis e Zamboni fuggirono oltre confine nel Granducato di Toscana, dove le guardie locali li catturarono e li consegnarono alle autorità del Papa. Il Santo Uffizio di Bologna aprì contro di loro uno dei più atroci processi della sua storia. Zamboni morì dopo terribili torture, suicida in cella o forse ucciso dalle guardie stesse, il 17 agosto 1795. Vennero arrestati anche suo padre, sua madre e sua zia, oltre a tutti gli altri studenti. De Rolandis fu sottoposto a mesi e mesi di interrogatori e torture, senza mai rivelare nulla della congiura, e fu condannato all’impiccagione il 23 aprile 1796. Aveva 21 anni.

La rivoluzione bolognese non ebbe successo, ma in quei giorni ebbe il merito di diffondere in tutta la penisola non solo un esempio di insubordinazione contro i tiranni, ma anche un simbolo di quella insubordinazione: il Tricolore. Quella coccarda rossa, bianca e verde iniziò a circolare in tutte le città, finché lo stesso Napoleone (con gesto ipocrita, aggiungiamo noi) consegnò ai milanesi da lui “liberati” uno stendardo dai tre colori, lo stendardo ideato dai giovani studenti morti pochi mesi prima. Da lì in poi la storia del tricolore è nota a tutti: Mazzini, la Giovane Italia, la Repubblica romana, il Risorgimento. Vicende che tutti i libri di storia hanno sempre raccontato con enfasi patriottica, fino ai giorni nostri. La storia dei rivoluzionari di Bologna, a cui dobbiamo la bandiera, è invece gettata nel dimenticatoio come storia minore, di nessun impatto, una storia violenta e per giunta fallita, di cui forse vergognarci un po’.     

Eppure, quelli come noi, che guardano la bandiera italiana e non pensano a epoche da rimpiangere o confini da salvaguardare, quelli come noi dovrebbero guardare il Tricolore pensando ai giovani rivoluzionari bolognesi che persero la vita per immaginare un’Italia e un’Europa senza tiranni e con condizioni di vera uguaglianza per tutti. Dietro il Tricolore si nasconde una storia eroica e popolare, che nulla ha a che vedere con l’uso conformista, nazionalista e di omologazione sociale che oggi la maggior parte delle classi dominanti fanno delle bandiere nazionali non solo in Italia. C’era molto più internazionalismo, europeismo e solidarismo nelle idee repubblicane del 1790 che nella maggior parte delle espressioni politiche attuali.
E’ ovvio che quell’epoca rappresentava la nascita degli stati nazionali ed oggi, forse, viviamo nell’epoca del loro lento tramonto. Ma i simboli rimangono, perché rappresentano la storia di uomini e donne, in questo caso semi-sconosciuti, che hanno lottato con lo stesso impeto e la stessa convinzione di chi oggi lotta in tutto il mondo per la propria libertà e per quella altrui. Il Tricolore appartiene a queste persone, che lottano e che magari perdono. E’ una bandiera popolare e ribelle, nata per non vivere da sola chiusa nei suoi confini ma per legarsi e sventolare con altre bandiere che condividono con essa lo stesso principio di opposizione alla tirannia e per condizioni economiche e sociali radicalmente migliori. Obiettivi per i quali questa bandiera non sventola più da secoli. Obiettivi niente affatto raggiunti, per i quali c’è bisogno che queste bandiere, di altri e tanti colori, di altri e tanti ribelli, sventolino ancora.