“Sciopero al rovescio” per una gestione differente dei beni comuni, con reddito e salario per tutti/e
Il pomeriggio di lunedì 3 luglio alcuni residenti, lavoratori e lavoratrici, disoccupati, precari, studenti e studentesse, famiglie del quartiere, hanno dato una sistemata al parco Piccolo Principe di Ciampino, rimuovendo gran parte dei rifiuti disseminati, dell’erba alta e del fogliame. Ognuno ha pulito, raccolto, spazzato, sfalciato, molti vicini hanno portato caffè e bevande fresche. Insieme alle associazioni Officine Civiche e Ciampino Bene Comune, queste persone hanno organizzato uno “sciopero al rovescio”: non un’azione di volontariato, ma un atto di autorecupero e di denuncia.
Perché uno sciopero al rovescio? Intanto perché non siamo disposti a lasciare i nostri spazi pubblici in questo stato di abbandono strutturale, che spesso apre la porta a speculazioni o gestioni semi-privatistiche. Non solo il parco Piccolo Principe, ma molti altri luoghi del territorio condividono questa tendenza all’accumulazione nell’utilizzo di risorse patrimoniali pubbliche, cui si accompagna sempre uno stato di degenerazione degli spazi circostanti. Per questo una delle richieste del nostro sciopero è quella di discutere e approvare a Ciampino un serio Regolamento per la gestione e la cura condivisa dei beni comuni.
Nel 2018 iniziavamo una lunga battaglia, a partire dalla raccolta di oltre 150 firme depositate al Comune di Ciampino per una proposta di delibera d’iniziativa popolare per l’istituzione di tale Regolamento. Anche a seguito dell’incontro che abbiamo promosso a settembre, invitando attorno allo stesso tavolo l’associazione Labsus e i rappresentanti del Comune, oggi finalmente qualcosa si muove nella giusta direzione. Abbiamo saputo della presentazione di una prima bozza di Regolamento da parte dell’amministrazione il prossimo 6 luglio, ma è un peccato che non sia stato avviato prima quel processo partecipativo che lo stesso Consiglio comunale aveva votato a larga maggioranza lo scorso anno. Crediamo che la partecipazione dei cittadini sia fondamentale, già in fase di stesura, per l’efficacia stessa del Regolamento e per evitare il suddetto rischio di spinte privatistiche.
Un autentico processo partecipativo, infatti, permetterà di considerare le diverse esigenze, tanto dell’amministrazione quanto della società civile. Intanto i patti di collaborazione non dovrebbero essere pensati solo per regolare le forme di gestione e cura dei beni comuni o per alleggerire l’impegno economico dell’ente, ma prima di tutto dovrebbero garantire la più ampia fruibilità, inclusività e inalienabilità del bene. Non ci aspettiamo certo che si parli di proprietà collettive, ma ci auguriamo, in linea con il dibattito nazionale sui beni comuni, di poter aspirare a un Regolamento più lungimirante del mero ricorso al volontariato diffuso! Restiamo fiduciosi che si aprirà presto un percorso di confronto pubblico in merito.
Infine crediamo che la gestione e la cura dei beni comuni non possa limitarsi ai patti di collaborazione tra ente e cittadini attivi. Avremo verosimilmente a breve un Regolamento a Ciampino, per cui crediamo sia il momento di rilanciare nel dibattito sui beni comuni gli aspetti del sostegno al reddito e delle politiche attive per il lavoro. Non sono certo i beni comuni a dover generare reddito, ma essi generano meccanismi di riproduzione sociale, come la cura dei luoghi, che lo Stato ha il compito di rendere sostenibili economicamente.
Proprio mentre il Governo vara i nuovi strumenti restrittivi sul reddito di cittadinanza, i Comuni possono fare la propria parte per sostenere quelle persone che si ritroveranno escluse. La stessa Labsus osserva e promuove esperienze locali di cura condivisa dei beni comuni che contemplano strumenti di inclusione sociale e lavorativa, dalle cooperative di comunità alle forme di reddito civico. La sopravvivenza economica di chi, dentro e attorno alla comunità, è in condizioni di vulnerabilità e allo stesso tempo già si prende cura del patrimonio, è un presupposto imprescindibile per parlare di bene comune.
A scioperare con noi c’erano persone senza occupazione, senza salario, senza casa, che tuttavia ogni giorno si occupano del benessere della collettività attraverso il lavoro comunitario, dal sostegno educativo alle occasioni di socialità, fino all’autorecupero del patrimonio pubblico. Quella di ieri è stata una giornata di organizzazione popolare, dove cittadini e residenti di diversa estrazione sociale e di ogni età – compresi i/le ragazzi/e della Scuola Popolare Dopòlis che stanno attuando un percorso educativo critico sui beni comuni – hanno voluto rivendicare il sacrosanto diritto alla città. Dove l’uso dello spazio pubblico sia garantito a chiunque, insieme al diritto all’abitare, ad un’educazione inclusiva, servizi efficienti e una soglia universale di reddito per un’esistenza dignitosa. In questo territorio, come in ogni altro angolo della periferia metropolitana.