27 Settembre 2019 - Lorenzo Natella - Beni Comuni e Territorio

“Tutti insieme famo paura!”

“Tutti insieme famo paura”, cantano in coro i ragazzi delle scuole superiori romane. “We want you to panic”, “il nostro futuro vale più dei vostri profitti”, “Capitalismo Colonialismo e Carbone sono i demoni da combattere per salvare il pianeta”, sono alcune delle frasi scritte su cartelli fatti a mano e striscioni colorati, insieme alla più vasta varietà di slogan ironici che solo una piazza del genere poteva partorire, con vere e proprie perle degne della migliore tradizione satirica al tempo dei meme. Ma i ragazzi e le ragazze del Global Climate Strike, a qualcuno fanno paura davvero. Sono consapevoli di farla e non vogliono passare per un movimento di giovani docili e benvoluti, nonostante i moltissimi tentativi di un sistema che prova a comprimerli tra lodi e derisioni, tra pretese di addomesticare la piazza e squallido benaltrismo. Entrambi gli atteggiamenti sono la prova lampante della paura che fa questa mobilitazione, la cui eterogeneità e le cui crepe ideologiche sono l’obiettivo preso di mira dal potere per sgonfiare il movimento e disinnescarne la carica rivoluzionaria, reale o potenziale.

È lo stesso principio che sta dietro al cosiddetto capitalismo verde: di fronte alla presa di coscienza ecologista non più solo di un’élite ma di grandi fette della popolazione, la via d’uscita contro la potenziale perdita di profitto è quella di continuare a proporre la causa dell’inquinamento come soluzione (pensiamo ai grandi marchi petroliferi e ai loro tentativi di greenwashing aziendale), dipingendola di buoni propositi “eco” per lo più affidati ad imponenti campagne pubblicitarie a sostegno di pochi investimenti su soluzioni placebo, temporanee, para-scientifiche, spesso controproducenti. Allo stesso modo, il potere politico e culturale che sorregge le grandi imprese multinazionali coccola i Fridays For Future, li elogia, salvo poi sparare a zero contro l’ingenuità dei giovani, supponendo interessi oscuri dietro questi attivisti troppo giovani per non essere manovrati da chissà chi. Tutto ciò con il supporto di un apparato mediatico inquinante come una centrale a carbone, che mette a nudo al contrario l’ingenuità dei “padri”, non colpevolmente analfabeti informatici e prede perfette di quella rete di dis-informazione, manovratissima, nella quale un ventenne non cadrebbe mai! Se infatti è vero che i più giovani sembrano non avere ancora un approccio di lettura critico nei confronti della scienza, vista come un monolite infallibile, è anche vero che dispongono degli anticorpi contro le fake-news tipici di una generazione di nativi digitali. 

Manca qualcosa? Ovviamente: manca coesione, sintesi, strategia d’azione futura, ma nei Fridays for Future c’è già più di quanto credevamo. Una massa giovanile indignata che tiene d’occhio il potere pubblico, vuole controllarlo dal basso, lo obbliga ad agire e quindi obbliga lo Stato e le sue propaggini locali e sovranazionali ad intervenire nei confronti del privato per risolvere un problema assodato: quello dell’inquinamento e dei fattori umani climalteranti. C’è forse poca consapevolezza che l’unica via d’uscita sarà un cambio di paradigma produttivo verso un sistema più giusto, egualitario, democratico e quindi anche profondamente antipatriarcale e antispecista. Forse queste parole altisonanti, in piazza, le conoscono in pochi. Eppure, se questi giovanissimi militanti hanno centrato il problema, giungendovi da una strada autonoma rispetto a quella percorsa dall’analisi di un certo universo intellettuale post-marxista, e se riusciranno a diffondere meglio e più capillarmente le ragioni di un cambio di sistema produttivo, facendo egemonia nel proprio vasto mondo di riferimento, forse abbiamo davanti un’opportunità epocale.

C’è un modo per far sì che questa mobilitazione non si esaurisca dietro l’effetto di una mancanza di prospettive, come spesso è accaduto in passato? Probabilmente già la piazza del 27 settembre ce l’ha mostrato. Movimenti ambientalisti locali, storiche lotte in difesa del territorio e dell’acqua, contro le grandi opere inutili e dannose, occupazioni abitative e sociali che hanno sviluppato al loro interno un discorso ecologista radicale, associazioni, comitati, vertenze urbane e contadine, tutti eravamo in piazza venerdì mattina e tutti abbiamo ascoltato e accompagnato questa mobilitazione nei mesi precedenti. Senza coordinamento né intenzionalità, le storiche lotte organizzate dell’ambientalismo conflittuale italiano hanno capito meglio di altri l’importanza di questa piazza di studenti e studentesse, la sua autonomia di pensiero e l’esigenza di costruire una coscienza politica collettiva, insieme, spalla a spalla in questa lotta per il pianeta che parte dal basso. Una speranza in questo senso esiste se nessuno farà l’errore di voler guidare, imporre, giudicare, rappresentare questi ragazzi e queste ragazze che si riconoscono più nelle lacrime rabbiose di Greta e del suo famoso “come vi permettete?”, che nei discorsi lucidi e articolati dell’attivismo tradizionale. Ciò significa che un ambientalismo conflittuale e popolare, dal quale chi scrive proviene, può essere e già di fatto è l’unico alleato politico che questa piazza accetta tra le sue fila, ma sarà un rapporto duraturo solo se lotteremo insieme imparando gli uni dagli altri con umiltà e responsabilità verso una lotta che non possiamo perdere, se non vogliamo dire addio all’unica speranza di giustizia sociale possibile: quella che si basa sull’equità delle risorse naturali e dunque sulla loro sopravvivenza e sostenibilità, oggi e per le generazioni future. 

Nota a margine: 

Dal corteo del Global Strike romano si alza spesso in coro Bella Ciao, cantata da tutti con la naturalezza più totale. Con la stessa naturalezza, all’incirca a metà di Via Cavour, un grosso spezzone di corteo intona a squarciagola l’inno di Mameli, cantato come si canta allo stadio, non come a una solenne ricorrenza nazionale. Entrambe le canzoni, senza che ciò risultasse strano a nessuno, vengono agite come strumento di sfogo e di contestazione al potere, due canzoni popolari e patrimonio di popolo, con un’allegria corale che manda in tilt tutte le etichette cromatiche della politica cui ci siamo arresi a sottostare negli ultimi anni. I ragazzi sanno che antifascismo e amor patrio non sono in contraddizione reciproca e soprattutto non sono in contraddizione con una manifestazione ambientalista, con i loro slogan che parlano di Greta, di orsi polari, di capitalismo, ma anche di antirazzismo e di liberazione sessuale. Non c’è alcuna confusione, anzi, è l’ennesimo sintomo di una coscienza politica e di classe ben più matura della maggior parte dei discorsi politici che questa coscienza dicono di rappresentare. 

foto: Giulia Carletti
27 sett. 2019